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Enrico Peyretti. Guerra alla Libia 
L'angoscia di una scelta difficile
20 Marzo 2011
 

IIIDomenica 20 marzo, ore 9:00

 

L'Italia fece guerra coloniale alla Libia quando celebrava a Torino, con una esposizione universale, il 50° della sua unità, nel 1911. Ora, nel 150°, da destra al sinistra-centro, macchiando il tricolore appena ritrovato un po' pulito, s'imbarca di nuovo in una guerra d'interesse alla Libia, col cui dittatore, finora persino onorato, l'Italia ha concluso accordi non umanitari, a danno dei “dannati della terra”.

Una guerra, questa, più di interesse che di principio e di difesa delle popolazioni insorte, con le quali non si è preso per tempo contatto per conoscerne i fini e a cui non si è dato sostegno politico internazionale.

Dispiace che il Presidente Napolitano, per molti aspetti meritorio e perno necessario della democrazia italiana periclitante, abbia interpretato l'art. 11 della Costituzione secondo una lettura distorta, proposta di recente da fonti non pacifiche, che giustifica gli interventi militari internazionali, più che valorizzarne sia il principio del ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie, sia la costruzione di solide e giuste istituzioni internazionali capaci di costruire giustizia e pace politica tra i popoli.

 

 

II – Sabato 19 marzo 2011, ore 23:35

 

Quando le bombe tuonano, tace la ragione, tace la parola, l'umanità si eclissa. È vero che la violenza delle armi era già in atto, in Libia e altrove, da parte di governi e (non dappertutto) di ribelli. Proprio per questo, alle armi va sostituita strenuamente la parola, l'ascolto delle diverse attese, la trattativa. Se esistono istituzioni internazionali, se c'è una politica tra le nazioni, tra gli stati, se c'è equità di giudizio (cioè se interessa la pace, la vita dei popoli più del petrolio) deve esserci il parlare, il "parlamentarizzare" ogni conflitto; si deve chiamare chi spara - in questo caso Gheddafi e i ribelli - a render conto in conferenze che confrontino le parti avverse, in presenza di terzi attivi mediatori, portatori del sentimento universale della comunità umana.

La via delle armi diventa l'unica visibile quando, per carenza morale e razionale delle politiche, si sono escluse le vie della razionalità politica.

Quando è tardi perché si è già sbagliato nel non capire e non agire bene tempestivamente, non c'è più riparo al danno e al dolore.

La guerra non rimedia nulla. Non ha rimediato nel profondo neppure il male di Hitler. “Quelli che prendono la spada, di spada periranno”, dice Gesù, e ciò vale per i contendenti come per il giudice violento. Dice Buddha che il dolore segue l'errore come il carro segue il bue. Dice Mohammed che se due uomini si affrontano armati di spada, vanno all'inferno sia l'uccisore che l'ucciso, perché anche questo bramava uccidere l'altro, che è suo compagno.

Da questo inferno si dovrà uscire, ancora una volta. È possibile, al costo di cambiare profondamente pensiero e di dare nuove regole effettive alla convivenza umana. È ciò per cui lavorano gli amanti attivi della pace giusta e nonviolenta.

 

 

I19 marzo 2011, ore 11:01

 

Sto riflettendo, con angoscia, se firmare questa presa di posizione di Giulietto Chiesa, contraria all'attacco ad uno stato sovrano come la Libia.

Dicono e diranno sempre: “Dove sono i pacifisti?”, e ci accuseranno di astrattismo, irresponsabilità, viltà.

Quando l'incendio scoppia non ci possono essere i tecnici al lavoro per installare i sistemi antincendio. Nel migliore dei casi, c'è l'acqua dei pompieri.

Quei tecnici erano disponibili prima, hanno parlato e proposto. Non sono stati ascoltati.

Sono colpevoli solo se, prima, non hanno fatto bene il loro lavoro. Noi abbiamo lavorato molto.

Ci sono sempre gli anti-incendio e ci sono sempre i pro-incendio, i piromani, che sperano qualche vantaggio dalle ceneri (umane e materiali) successive. Questi secondi hanno il vantaggio materiale della spregiudicatezza. Ha più possibilità e vantaggi il bugiardo del veritiero, chi non ha scrupoli su chi ne ha. La presenza e il continuo aumento delle armi, con investimenti enormi per la morte sottratti a investimenti per la vita, sono già guerra potenziale, benzina in attesa della scintilla.

In Libia, 1) la prepotenza violenta di uno dei tanti dittatori (anche dei demo-dittatori), 2) la ribellione giusta per la libertà, i diritti umani, il pluralismo, a rischio di essere sopraffatta 3) non permettono alla comunità internazionale di restare immobile.

Così dovrebbe fare in ogni situazione simile, perché se tu senti nell'appartamento dei vicini grida e minacce spaventose, devi andare a vedere e fare il possibile e il giusto.

L'Onu, legislazione e governo per il diritto dei popoli alla pace coi mezzi della pace, è lenta, debole, impedita dalle ostinate anarchiche ciniche “sovranità” statali, che agiscono con ogni mezzo assai più per gli interessi della loro fazione che non dell'umanità e di ogni altro popolo.

Ora, nel caso Libia (grave, ma non affatto unico), l'Onu ha imposto la no fly zone con minaccia di intervento aereo. È atto di guerra giustificato col fine della difesa umanitaria e della legalità. Un mezzo sempre ingiusto con la pretesa di raggiungere un fine giusto, altissimamente e statisticamente improbabile.

Quando è troppo tardi, perché non si è capito e pensato per tempo, si usano solo i mezzi che restano: il cattivo medico deve tagliare la gamba in cancrena.

Ma è davvero tardi per usare mezzi di pace e giustizia? Gli stati non hanno mezzi e volontà per una invasione civile, a migliaia, di personale diplomatico e mediatore, che si interponga nella guerra civile? Tra i pacifisti, come hanno già dimostrato in vari altri casi, spontaneamente, non pochi sarebbero disponibili. Ci sarebbe rischio proprio, ma non maggiore per le popolazioni del luogo, sempre anche vittime degli interventi militari di liberazione.

Gli stati avrebbero i mezzi per questa azione civile, ma non ne hanno la volontà. Non possono avere la volontà perché le culture politiche su cui gli stati sono ancora modellati, sono culture di profonda sostanziale violenza, sono soggette all'ideologia della morte imposta come legge della vita omicida, della potenza.

Dove sono i pacifisti nonviolenti? Tra mille ostacoli esterni, con difficoltà e fatiche proprie, con impegno sempre da accrescere, sono qui che arrivano dal futuro.

Riconosceteli, accompagnatevi a loro. Che ogni tragedia prepari una crescita in umanità.

 

Enrico Peyretti


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