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Valter Vecellio. Election Day: Note a margine di un voto che non si condivide
17 Marzo 2011
 

«Almeno una cosa è sicura: stamattina Bordin non potrà lamentarsi che sui giornali non si parla dei radicali», annota oggi su Europa Robin, ed è una sorta di buffetto amichevole, di chi ti rimprovera, ma bonariamente, da vecchio zio a nipote scavezzacollo. Su Notizie Radicali di oggi pubblichiamo l’intervento-dichiarazione di voto di Maurizio Turco ieri (alla Camera dei deputati, ndr) e l’intervento di Marco Pannella, scritto dopo il voto e le reazioni che questo voto ha provocato. Radio Radicale ha poi raccolto le ragioni dello stesso Marco Beltrandi (foto), che ha spiegato perché ha votato in modo difforme dagli altri parlamentari radicali. Anche noi, non si ha problemi ad ammetterlo, come tanti ne siamo rimasti sorpresi; abbiamo cercato di capire; e dopo le spiegazioni e i chiarimenti, non abbiamo difficoltà a riconoscere che le ragioni addotte non ci hanno convinto; ma i radicali per fortuna sono una prateria così vasta dove possono benissimo convivere diverse e anche opposte opinioni; e dove non viene chiesta l’analisi del sangue a nessuno.

In via incidentale – ma, appunto, molto incidentalmente – si potrebbe osservare che il “dissidente” forse poteva motivare in aula il suo “dissenso”; se non lo ha fatto avrà avuto i suoi motivi. Qui non si vuole minimamente entrare nelle dinamiche e nelle scelte dei deputati – singoli e come collettivo – che, grazie al cielo fin da subito, nello spirito della Costituzione e molti anni prima di metter piede in Parlamento, abbiamo dichiarato autonomi e indipendenti e rappresentanti sempre e solo degli elettori. Che ci sia stato un voto difforme di per sé non è dunque sconvolgente. Nessun parlamentare radicale deve rendere conto dei suoi atti se non alla sua coscienza e ai suoi elettori e al cittadino.

Detto questo, e per riprendere la notazione bonaria di Robin, certo: si sarebbe preferito finire sui giornali, per altro e di altro discutere e confrontarsi. Le questioni, per esempio, che abbiamo cercato di sollevare proprio oggi sulla sempre ospitale Europa, a proposito della tragedia che si consuma in Giappone e i referendum ormai prossimi; o quello che accade ad un passo da casa nostra, nei paesi del Maghreb, in Libia. O la questione che troviamo in un passaggio dell’intervento-dichiarazione di voto di Turco di ieri: «...C'è un problema, il problema dell'informazione... Ecco, quello è il nodo che ancora non abbiamo saputo sciogliere come serve, come è necessario, è la questione che tutti siamo chiamati ad affrontare...

Da ieri un po’ tutti siamo sommersi da email, sms, messaggi (per inciso: sarebbero più credibili se fossero firmati, e non ci si celasse dietro improbabili nomi di fantasia), di sdegno, rabbia, delusione. A tutti gli altri si perdona (e condona) la sicura foresta; con i radicali non si transige, anche quando si tratta di uno stuzzicadenti. È perché dai radicali ci si aspetta sempre “altro” e di più? Se è così, buon segno, tutto sommato.

C’è poi chi sostiene che un eletto (pardon: “nominato”) in qualche modo dovrebbe soggiacere a una disciplina di gruppo. Obiezione che non ci si sente di condividere. È molto simile, come osservazione, a quella fatta – in altro contesto – a “Ballarò” da Rosy Bindi. Si potrebbe preliminarmente osservare che se “adeguamento” ci deve essere, andava chiesto molto prima, per vicende che non riguardano i radicali, e che sono a mio modo di vedere ben più gravi. Sono tanti, infatti, i “nominati” dal PD che a un certo punto, in più o meno buona fede, hanno scelto altro, ma scegliendo altro si sono comunque ben guardati dal lasciar libera la poltrona che hanno occupato e occupano in virtù della loro “nomina”. Ma questo porta lontano.

Diciamo allora che siamo affezionati a quella tradizione socialista (oibò!) che vedeva nel primo Novecento l'Avanti (che non era quello di Benito Mussolini) esprimere una posizione diversa da quella dei parlamentari, che a loro volta esprimevano una posizione che spesso non collimava a volte con quella del partito. Ne scaturiva a volte un gran puttanaio, di gran lunga preferibile comunque all'ordine e alla disciplina che vigeva (e vige) in altri partiti. Ad ogni modo che un governo resti appeso a un voto, quello di un radicale che vota in difformità dagli altri suoi compagni, e proprio nelle stesse ore in cui il presidente del Consiglio se ne torna dall’incontro con Giorgio Napolitano con le proverbiali pive nel sacco, perché ha promesso tanto a tanti, e ora non ha sufficienti spoglie da dividere con i tanti pretendenti, beh, si ammetterà, è indicativo della situazione che si vive, e dovrebbe far riflettere sulla “solidità” di chi ha la pretesa di attuare riforme epocali e invece può e sa solo sgovernarci come ha saputo e potuto solo sgovernarci finora.

Detto questo, compagne e compagni, quel voto – lo si condivida o no – è cosa destinata a durare qualche ora; sarà il caso di cercare di occuparsi, come si sa e come si può, di quello che davvero urge ed è necessario?

Per esempio: ieri l’agenzia ANSA ha diffuso uno stringato dispaccio dando notizia che un detenuto albanese di 25 anni si è ucciso nel carcere di Parma. Il giovane si è impiccato nel magazzino del penitenziario, dove lavorava. È il dodicesimo detenuto suicida in Italia dall’inizio dell’anno. Non è questione “epocale”, è “solo” il paradigma di quella che Pannella e i radicali indicano come la vera, grande emergenza di questo paese, la bestiale situazione nelle carceri italiane. Su questo non si leggono irate e scandalizzate dichiarazioni di Franceschini e Bindi o di D’Alema; e si registra una terrificante inerzia, indifferenza e silenzio da parte del Governo e del ministro della Giustizia in particolare. Noi si continua a trovare scandalose leggi come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi, leggi letteralmente criminogene. Perché in questo siamo lasciati soli, anche dal “popolo degli indignati”? Una ragione ci dev’essere, e non è difficile immaginarla e comprenderla.

 

Valter Vecellio

(da Notizie Radicali, 17 marzo 2011)


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