Faccio una premessa al viaggio con Virgilio, sacerdote etrusco. Ieri sera ho incontrato il mio insegnante di latino, dei primi anni di liceo scientifico: il prof. Mario Ulliana. Aveva letto “Dio sovrano”. Mi ha dato un consiglio liberatorio: – racconta quel che ritieni giusto, senza preoccuparti del parere contrario. Ho idea che tu abbia ragione. Ma sii chiaro, senza tecnicismi. Per favore –.
Perché mi ha liberato?
Perché io scrivo gravato dal peso di una tradizione contraria: da 2000 anni Virgilio viene insegnato a scuola come massimo poeta romano; mentre fu sì poeta, ma soprattutto fu sacerdote etrusco.
Perché pesa questa differenza?
Perché, mentre non è difficile accettare il fatto che Livio, nato 11 anni dopo di lui, abbia scritto la storia di Roma (mettendo assieme ciò che più di una ventina di storici avevano scritto) pur essendo un Veneto, è stato impensato, finora, il fatto che un sacerdote etrusco abbia narrato della stirpe Eneide ‘senza essere scoperto’.
Livio, da uomo prudente, iniziò le sue storie con una paginina sui Veneti e poi si dedicò tutto al racconto dei fatti della gloria di Roma, da storico.
Per i Romani diede così prova di sottomissione e di utilità con i suoi 142 libri Ab urbe condita raccontando la storia della loro città in modo epocale.
Ben diverso il ruolo di un sapiente come Virgilio. Doveva essere Romano per essere un sapiente accettato dai Romani. Questo, credo, si è pensato finora. Questo pensò, senza aver dubbi, Petronio.
Altrimenti, doveva essere un genio letterario assoluto.
Questo fu, ed è, dal momento che un letterato che operò nella sua seconda lingua incontrando il consenso unanime è immortale nella sua opera.
Mi torna utile l’esempio di un altro sapiente, Giordano Bruno, che scrisse il De magia, mai pubblicato –che oggi si può rintracciare in Internet–. Si difese per sette anni al tribunale dell’Inquisizione ed alla fine dovette salire al rogo.
Il suo animismo magico è stato relegato come concezione del mondo propria degli albori dell’umanità.
Ed era l’anno 1600: Giordano Bruno viene ricordato come esempio di riprovevole intolleranza di chi lo bruciò, ma quasi nessuno –mi pare– ricorda che il suo caso prova che la magia e l’animismo erano pervasivi delle alte sfere in quegli anni. Si preferisce ricordare il rogo del popolano Menocchio (1599) come prova di residui di credenze magiche nel popolino della Valcellina.
Bruno non poteva fare come Galileo e dire: forse avete ragione! È il sole a girare e non la Terra. Galileo, con questa ‘confessione’ si salvò la vita. Galileo si occupava di fatti che, prima o poi, sarebbero stati osservati. E si piegò con sofferenza, forse pensando che erano plurime le alternative vincenti del suo Metodo.
Giordano Bruno non poteva dire: ho sbagliato tutto! Avete ragione voi: mi suicido culturalmente. Accademico alla Sorbona era fuori dalle regole correnti e, dopo che avevano letto i suoi scritti, non era in grado di mascherarsi.
Le sue opinioni vengono rigettate oggi dalla maggioranza, ma esistono ancora degli esoterici che concordano con lui anche se la magia non è più di moda.
Il sapiente scontra la sua concezione del mondo con la concezione del mondo prevalente. Se l’epoca è illiberale il sapiente rischia la vita.
A meno che… Un sapiente geniale –ed io ne conosco solo uno così– può scrivere, venir letto e farla franca, se soddisfa i lettori sovrani mascherando la sua etnia soggetta e le sue convinzioni religiose in conflitto con le loro.
Credo che il tema Lingua Madre, che è l’emblema del salone del libro a Torino, avrebbe in Virgilio l’Autore più rappresentativo se il sacerdote etrusco venisse finalmente riconosciuto da tutti sotto al massimo poeta latino.
CEREI REGNI
Il nostro “Dio sovrano” (20/6/2006) è terminato con i “cerei regni”.
Ci proponiamo qui di raccontare come l’espressione sveli i regni di cera delle api e veli i regni di Cerere sovrana, dea delle città etrusche.
L’espressione è tratta dal racconto di Virgilio Maro –sacerdote etrusco- sul costume delle api.
Illum adeo placuisse apibus mirabere morem,
quod neque cocubitu indulgent nec corpora segnis
in Venerem solvunt aut fetus nixibus edunt,
verum ipsae e foliis natos, e suavibus herbis
ore legunt, ipsae regem parvosque Quirites
sufficiunt aulasque et cerea regna refingunt.
Tr.: Davvero stupirà il costume seguito dalle api,
secondo cui non indulgono a congiungersi, non snervano i corpi
impigrendoli al servizio di Venere, non generano figli fra le doglie,
ma da sole raccolgono con la bocca i figli dalle fronde,
dalle erbe soavi, da sole rinnovano i re e i piccoli
Quiriti, e riformano (riformarono nds) la corte e i cerei regni.
(Georgiche IV, 197-202)
La compattezza del genio linguistico semplifica la lettura. Chiamando ‘piccoli Quiriti’ le api piccine Virgilio rende esplicita la metafora della loro vita in paragone con quella dei Romani (‘che snervano i loro corpi in Venere’ è una critica che potevano accettare con gioia. Il sacerdote etrusco la avanzava sicuro di non ricevere reazioni di rigetto).
I lettori romani hanno letto parvos Quirites come un semplice vezzeggiativo per i piccoli delle api. Loro i ‘grandi Quiriti’ e ‘piccoli Quiriti’ le api piccine.
Così leggono anche i nostri latinisti. Sarebbe tutto ‘solo così’ per un Virgilio romano.
Ma, è solo così per un Virgilio etrusco? Intanto, notiamo che ‘refigunt’ è passato remoto di refingo. Il testo refigunt, se esatto così in origine, va tradotto con ‘riformarono’. I ‘piccoli Quiriti che riformarono’ non sono più le api, perché le api non hanno storia che i Quiriti invece hanno. E i Quiriti storici aprono ad un altro racconto, di trasformazioni sociali.
Luca Canali, il traduttore, pur bravo e di cui ci siamo fidati, soffre tanto la propria ombra da meritare un segnaccio blu perché traduce refigunt con ‘riformano’, al presente astorico.
Non c’è dubbio che, se Virgilio fosse stato un Romano, questa sarebbe un’aporia –una enne perduta per errore– ed il paragone sarebbe limitato e bastevole.
Ma, se il poeta che si rivolge al principe etrusco Mecenate venisse letto come sacerdote etrusco (come si identifica in Melibeo –vado assaggiando il ME) allora tutto cambierebbe fin dall’inizio del libro IV.
Protinus aerii mellis caelestia dona
exsequar: hanc etiam, Maecenas, aspice partem.
Admiranda tibi levium spectacula rerum
magnanimosque duces totiusque ordine gentis
mores et studia et populos et proelia dicam.
In tenui labor; at tenuis non gloria, si quem
numina laeva sinunt auditque vocatus Apollo.
Tr.: Proseguendo, dirò del dono celeste dell’aereo miele.
Volgi lo sguardo, Mecenate, anche da questa parte.
Ti canterò mirabili spettacoli di modeste cose,
e i magnanimi capi, e, per ordine, l’indole
e le attitudini di tutta una gente, e i popoli e le battaglie.
Una tenue fatica, ma una gloria non tenue, se lo consentono
i numi avversi, se invocato mi ascolta Apollo.
(Georgiche, IV 1-7)
«mirabili spettacoli di modeste cose» non sono solo i costumi delle api –modeste cose–; se non bastasse, «i magnanimi capi e l’indole di tutta una gente, e i popoli e le battaglie» starebbero strettissimi nella vita delle api!
Allora sì la fatica di poetare si apre alla gloria di accennare alla storia del suo popolo vinto e, dopo più di duemila anni risplende tutto il suo valore!
Questo è il metalinguaggio del genio!: ha chiamato piccoli Quiriti i Romani alludendo, con Mecenate, a noi Etruschi come Grandi Quiriti!
L’Apollo invocato è targelio, rimasto così nella tradizione greca.
TAR GAL LU è uno dei nomi sumeri di Saturno.
Apollo targelio è rimasto come il massimo divinatore della classicità, pur cedendo la sovranità, come Saturno sovrano, a Zeus/Juppiter. Ovvero: ha mantenuto il suo primato religioso cedendo il suo primato politico. Come mai nessuno se n’è accorto?
Perché gli dèi ‘non sono stati presi sul serio’ potremmo azzardare; non è stata fatta l’indagine sociologica sulla religiosità antica come ideologia fortemente radicata negli antichi pagani che spiega bene la fortissima reazione storica anticristiana in un’epoca imperiale generalmente molto tollerante delle diversità religiose: il paganesimo veniva attaccato alla radice dal monoteismo dei poveri.
Il dio sovrano di Greci e Romani, Zeus/Juppiter, ha sostituito AN SH AR-Saturno dei Titani (TI TA AN ‘coloro che vivono in Cielo’) ed ha esaugurato il sistema divino precedente, cancellando quasi del tutto nomi e poteri. Quasi del tutto: Dioniso-Apollo era troppo diffuso e pervasivo.
«Se invocato mi ascolta Apollo e lo consentono i numi avversi» dirò del dono celeste dell’aereo miele.
L’aereo miele, mel mostra di significare ME EL, ME di EL LIL, dio dell’Aria. Per questo motivo è aereo. Per giustificare l’aggettivo non c’è bisogno di immaginare un’opinione sbagliata –che il miele scendesse con la rugiada (come da nota al testo edizione Rizzoli 1999)– in un’osservatore del costume delle api attentissimo come Virgilio. Il miele è considerato un dono celeste di EL LIL (più notorio EN LIL), dio sovrano degli Accadi. A chi vi dovesse ribattere che gli Accadi ci sono alieni fate osservare il filo narrativo ininterrotto con quest'altro nome di EN LIL-Narru: narro (it.) < narro (lat.) < Narru (accadico: l’Uno sacro della stirpe dei Narti (nome che identifica tutta la letteratura che narra dei re Accadi –la stirpe dei Narti non è dunque quella individuata da Dumezil, che andò anche in Turchia a cercarla–).
AP LU è scrittura del nome etrusco di Apollo [e si legge AP UL LU, Apollo –come vedremo in seguito-].
Ceres, da cui Cer-es, il nome latino di KI ERES ( scritta ERES KI GAL), nome sumero della regina degli Inferi.
Apes, api, unifica AP (LU) e (CER) ES: AP ES.
Il miele, le api… la cera! Che rinvia a Ceres.
Cerei regni sono sia ‘regni di cera’, regni delle api, che ‘regni di Ceres’ città etrusche come Caere, odierna Cerveteri. Dedicata ad Uni, Giunone etrusca, identica a Ceres sovrana.
Il metalinguismo del genio narra in modo trionfale!
Vedremo che il mago bianco Virgilio è devoto ad alma Ceres cioè a Cerere legislatrice, opposta alla KI ERESH infernale.
Ricordiamo la sua associazione di alma Cerere ad Apollo:
a Cerere legislatrice e a Febo e al padre Lieo, (Eneide IV, 57)
legiferae Cereri Phoeboque patrique Lyaeo.
Va da sé che una dea sovrana legifera ed una panettiera non fa leggi neanche in un regime democratico, poverina. Vero?
Alma Cerere ed Apollo sono la faccia femminile e maschile di Saturno!
Cerere legiferava sui Cerei regni prima che i piccoli Quiriti li riformassero e la declassassero da Saturnia –nel senso di Saturno femmina– a Saturnia –figlia di Saturno–.
Carlo Forin