Le manifestazioni si susseguono con motivazioni di profonda indignazione politica: credo che la passione dominante sia appunto un “basta!” diffuso che esprime da varie e importanti aree di popolazione una insopprimibile insofferenza etica per il degrado culturale politico sociale ed etico appunto, nel quale la crisi capitalistica e la sua gestione italica ha cacciato il paese. Si tratta di un prezioso indicatore inviato già dalla Fiom il 16 settembre, e via via dalla scuola, da università e ricerca, dallo spettacolo, dalle donne il 13 febbraio, dalla cittadinanza in difesa della Costituzione ecc. ecc. Non si potrebbe desiderare di meglio. Ma già si è perso tempo non avendo dato seguito alla proposta della Federazione (della Sinistra, ndr) di costituire ovunque 'Comitati 16 settembre' per raccogliere intorno a una piattaforma politica generale da costruire via via quella straordinaria spinta operaia. In modo che non si afflosci rapidamente.
Bisogna attendersi simili processi che si sono già verificati, e approntare -per impedirli- indicazioni progetti programmi da attuare con continuità e varietà di forme e molteplicità di voci. Per non lasciare passivamente che si ripetano sequenze come fu per il movimento per la pace: esordì con una così imponente mobilitazione che fu definito dal New York Times la seconda potenza dell'opinione pubblica, ma due o tre ripetitive scadenze e una direzione politica generica e moderata quasi lo bruciarono e lo resero afono, come è rimasto. Analoga sorte toccò ad “Usciamo dal silenzio” che ben presto nel silenzio rientrò.
Sorte inevitabile dello “spontaneismo movimentista”? E necessità di dedicarsi alla costruzione del partito? credo che questa analisi sia arretrata e nostalgica. La forma politica partito quanto più diventa “monocorde”, tanto meno interpreta e quindi tanto meno rappresenta una società complessa, mentre molti movimenti nella società complessa non hanno affatto carattere spontaneista, e sono intrinsecamente politici, tanto che l'idea di poterli organizzare come cinghie di trasmissione o agenti collaterali del partito proprio non sta più in piedi analiticamente.
Dunque dobbiamo misurarci con una cultura politica molteplice, e lavorare per costruire un tessuto, un intreccio di azioni politiche non dirette né da un “capo” più o meno carismatico o populista o laederista (che sono forme di destra senza rimedio), né arruolate per correnti quasi militarizzate, bensì sperimentare e costruire forme politiche molteplici, non “riducibili”, capaci di esprimere il massimo di autonomia e di collaborazione, insomma una impresa né faclle né certa, ma sicuramente di grande fascino intellettuale e passione politica.
Del resto altro non si può fare e la crisi capitalistica macina in fretta gli indugi e le incertezze, gli egoismi e le corte viste. E in quanto strutturale e globale, lasciata a sé diventa uno tsunami di barbarie, senza rimedio. I limiti del riformismo sono visibilmente consumati e la forza della passione politica è capace di smuovere materia inerte fino a che un cammino possa essere tracciato anche sulle rovine disseminate dalla crisi e dal disfacimento di tutti i riferimenti teorici fino a qui acquisiti. L'indicazione più agibile è quella di cercar di avviare la costruzione di un blocco storico vario e molteplice, una forma pattizia come una Convenzione, una struttura varia come deve essere una Federazione.
Alcuni elementi li abbiamo, mi pare che ci manchi la propensione ad usarli e connetterli.
Lidia Menapace