In occasione di questo 8 marzo vogliamo rendere onore a tutte le “streghe” di Milano. A quelle donne, cioè, che hanno pagato con la vita il loro essere “diverse”, libere, irrequiete, solitarie. A cominciare da Sibilla Zanni e Pierina Bugatis, forse le prime vittime di questa folle “caccia” (condotta da maschi, ovviamente), bruciate nell’estate del 1390 in Piazza S. Eustorgio (sede del tribunale dell’Inquisizione) per eresia e unione carnale con Satana.
Pensate a loro, la prossima volta che passate davanti a quella chiesa. E ricordatevi pure di Guglielmina la Boema. Lì vennero inceneriti i resti del suo cadavere. Sì, del suo cadavere, perché lei era morta da tempo ma tra il popolo si diceva che facesse miracoli anche dalla tomba. Perciò quello che rimaneva della donna venne traslato dall’abbazia di Chiaravalle e disintegrato definitivamente davanti a S. Eustorgio. Una storia incredibile, quella di Guglielmina, da santa e non da strega. Arrivata a Milano con pochi soldi in tasca (e un figlio), sosteneva di essere una principessa di Boemia. Subito si dedicò con totale dedizione agli orfani, ai malati, e con l’andar del tempo la sua fama crebbe a tal punto che, quando si trasferì nella contrada di S. Pietro all’Orto, c’erano molti milanesi ad aspettarla (come nella canzone di De André) perché si era diffusa voce che fosse anche guaritrice. La sua immensa bontà conquistò Andrea Saramita, un benestante che si fece promotore di un vero e proprio culto sostenendo che Guglielmina fosse l’incarnazione dello Spirito Santo. Affermazioni che provocarono, chiaramente, l’intervento dell’Inquisizione che mise sotto inchiesta la donna per ben due volte. Lei, però, rispose con un “Sum vilis foemina et vilis vermis” che allontanò ogni sospetto. Deceduta il 24 agosto 1281, la donna venne sepolta nell’abbazia di Chiaravalle, ma il Saramita e i suoi seguaci mantennero viva la sua “chiesa” e la nuova “papessa”, Maifreda Pirovano (cugina di Matteo Visconti), annunciò persino la resurrezione di Guglielmina per la Pasqua 1299. Il che non avvenne, ma contribuì a mettere sotto processo tutti coloro che appartenevano all’ordine dei Guglielminiti: il Saramita, la Pirovano e i pochi che non abiurarono vennero bruciati nel dicembre del 1300 di fronte a S. Eustorgio. Insieme, come si diceva, a quello che restava della salma di Guglielmina.
Spostandoci nel 1600, indimenticabile è la vicenda di Caterina Medici da Broni. Amante di un capitano, Vacallo, che non voleva sposarla, ricevette da una maga tre “nodi d’amore” da sistemare nel letto dell’uomo per legarlo a lei. Caterina dapprima eseguì, poi, timorosa dell’Inquisizione, andò a raccontarlo al suo confessore. Il quale la tradì, provocandone l’internamento. Solo qualche anno dopo Caterina tornò libera, trovando lavoro presso Alvisio Melzi. La fortuna sembrava arriderle, ma il suo nuovo padrone si ammalò improvvisamente senza che i medici ne capissero la ragione. Vaccallo, amico del Melzi, lo andò a trovare e, riconosciuta per caso Caterina, gli insinuò il sospetto che la colpa fosse della donna. Così lei venne denunciata, e sottoposta a tortura confessò di avere fatto un patto con il diavolo, di avere avuto rapporti con lui e altri demoni, di avere addirittura succhiato il sangue al Melzi e a dei poveri bambini. La sua esecuzione fu particolarmente solenne, e per farla vedere a tutti fu approntato un palco, come si legge sul registro dei nobili scolari di S. Giovanni Decollato: «1617. Adì 4 marzo. Giustizia fatta sulla Vetra: fu abbrugiata una Caterina de Medici, strega, la quale aveva malefiziato il senatore Melzi et fu fatta una baltresca (un palco) sopra la casotta: fu strangolata su la detta baltresca all’atto che ogn’uno poteva vedere et prima fu menata sopra un carro et tanagliata».
L’ultimo omicidio di due presunte streghe è datato 1641: durante l’esecuzione si accese una rissa perché per ben due volte le corde si erano spezzate e gli spettatori accusarono il boia di scarsa professionalità (la precisione con cui costoro “lavoravano” era un vanto per ogni città). Tuttavia ciò non significava che le “streghe” avessero abbandonato Milano. Qualche sospetto, ad esempio, lo creò nell’800 Cristina Trivulzio Belgioioso, la cui vita fu un vero romanzo. Finanziatrice della causa italiana, transfuga in Francia (dove conobbe Dumas, Rossini, Liszt, Balzac, Hayez), pasionaria del ’48 (organizzò la “Divisione Belgioioso” portando patrioti da Napoli a Milano, partecipò alla Repubblica Romana e tra le sue braccia morì Goffredo Mameli), si avvicinò all’occulto tramite la governante della sua bambina, miss Parker, che la introdusse a sedute spiritiche e ad altri misteri, a tal punto da suggerirle di imbalsamare il cadavere del suo innamorato, Gaetano Stelzi: gli austriaci, quando requisirono il palazzo di Locate, lo trovarono, ben vestito, seduto a un tavolo di gioco…
Dopo un avventuroso viaggio in India, Cristina ritornò a Parigi e infine, di nuovo, a Locate (si narra che fece il suo ingresso a Milano vestita da sultana e seguita da un corteo di cammelli, scimmie, schiavi turchi). Dopo la sua morte, avvenuta il 5 luglio del 1871, la gente del borgo riferì di aver più volte visto vagare nella nebbia i fantasmi suoi e dello Stelzi, tanto che negli anni ‘20 il sepolcro di Cristina fu scoperchiato. Era vuoto, e il suo corpo venne rinvenuto nella tomba dello Stelzi: il volto della donna era ancora giovane, ma si dissolse in polvere a contatto con l’aria.
L’ultima “strega” milanese è nostra contemporanea e abitava in via Maddalena, vicino a Porta Romana. Conosciuta anche da Dino Buzzati, si chiamava Colomba ed era nata settima di 7 femmine la notte di Natale del 1877 dopo soli 7 mesi di gravidanza. Al momento della nascita, le venne trovata una grossa macchia scura sul sedere, detta “il bacio del diavolo”: il suo destino era segnato. Nonostante le sue capacità, Colomba era una donna minuta e gentile che praticava soprattutto incantesimi d’amore, cercava di curare le persone ed era molto tenera con gli animali. Alcuni clienti, però, le chiedevano anche fatture “nere” che lei eseguiva coadiuvata da un gatto (che sapeva parlare), un merlo indiano che recitava il Padre Nostro alla rovescia, un teschio in cui conficcava chiodi d’argento. Per le fatture “bianche” usava cuori di colombe, sterco di gallina, sale, olio, acqua benedetta e un’antica formula romana. In questi casi si faceva pagare con farina bianca, tessuti, e raramente in denaro. Per le altre, invece, esigeva mezzo maiale salato, una damigiana di vino rosso e dei soldi che fossero rimasti interrati una notte di luna piena all’interno di un cimitero.
Durante l’inverno del 1960 Colomba fu ricoverata al S. Raffaele per una broncopolmonite che le fu fatale. Con lei moriva l’ultima strega milanese conosciuta. Ma noi sospettiamo che ce ne siano molte altre, nascoste in città. Anzi, ne siamo certi. E ci auguriamo che continuino a regalare del bene, ai molti che ne hanno bisogno. Del male, a chi se lo merita veramente. Salùdi
Testi consultati:
- Fava F., Milano magica e fantastica, Meravigli, 2007
- Ferro D., Le grandi donne di Milano, Newton&Compton, 2007
- Nuvolari S., Valenziano D., Milano segreta. Guida ai luoghi frequentati da fantasmi femminili, De Ferrari Editore, 2000