Fa acqua da tutte le parti. Come il Vajont o la Val di Stava.
Soffre di mancamenti e amnesie come una Fontana malata vicina a una Banca.
È decrepita, derelitta, fors'anche obsoleta.
Spinta da pulsioni di opposta tendenza. Un colpo al cerchio e uno alla botte: tutti contenti e tutti scontenti.
Peppino, il suo grande amore, non c'è più. Anzi, lei l'ha tradito.
I suoi quattro figli: un marinaio milanese; un impiegato delle poste napoletano con la vocazione, fallita, alla poesia; una sguattera; un sacerdote codino. Poeti, santi, navigatori, casalinghe e mamme... Popolo di mammoni e anche qualche pappone, d'alto o basso bordo che sia.
Quattro suonatori in camicia rossa: tromba, trombone (richiamo ad alcuni onorevoli?), sax e percussioni.
Spaghetti, mangioni e maneggioni.
Bandierine tricolori che sventolano.
I ritratti tutt'intorno dei più infelici o sventurati o, come il Peppino, delusi.
Peppino è, ovviamente, Giuseppe Garibaldi.
Italia festeggia i suoi centocinquant'anni, tutto sommato in pessime condizioni.
Aumma è l'ultimo spettacolo di Gianfelice Facchetti, da lui scritto, messo in scena e recitato (sua la parte di Don Felice). Con lui Antonio Brugnano, Pierpaolo Candela, Pietro De Pascalis, Fortunata Mastrangelo, Manola Vignato e la Banda dei Mille (scene e costumi di Vittoria Papaleo in collaborazione con i detenuti della Casa Circondariale Sanquirico di Monza).
«Italia è una donna senza età, festeggiata dai suoi figli e figliastri che per l’occasione tornano a farle visita dopo tanto tempo; arrivati da lei però, la trovano a letto, malata cronica. La festa comunque si farà: attorno a una tavola su cui piove dall’alto, mangiando e bevendo, cantando e sparlando, nella maniera più comune che ci sia di passare un compleanno» è Gianfelice Facchetti a raccontare. «Col trascorrere dei minuti i ricordi di Italia affiorano, a ritroso, per perdersi quasi subito in una miriade di amnesie: il G-8, il Caso Moro, Piazza Fontana, la guerra civile, il Duce, Caporetto... ogni memoria finisce con un “Non ricordo!”. Unica eccezione è il primo amore, Giuseppe Garibaldi, un giovane idealizzato forse, ma unico frammento di memoria capace di accendere una luce negli occhi spenti di Italia: l’eroe del Risorgimento come unica persona degna di essere ricordata. I figli e figliastri le hanno portato un regalo: le fredde ceneri di Peppino, recuperate chissà dove e impacchettate per l’occasione come un prezioso presente: io regalo, tu regali, egli regala... un presente “indicativo” di un’identità, quella italiana, che ruota sempre e solo attorno al reciproco scambio di favori, merci e poteri, affinché niente cambi».
Misteri gattopardiani delle contrade nostrane.
«Il tempo a disposizione di Italia» prosegue il regista e artefice «è un eterno presente perché il passato è luogo di scontro e divisione, il futuro una sterile discussione se vivere sia diritto o dovere. Mentre sul tavolo di Italia inizia a diluviare, in questa incapacità di guardare lontano, i figli e figliastri, i parenti tutti, si impantanano, mandando in frantumi la festa tanto attesa. Restano le pozzanghere, acqua non evaporata, vita non consumata, fango residuo di briciole, cenere e pezzi di torta su cui una candelina resta accesa. A futura memoria».
Aumma è un lavoro ottimamente scritto, allestito e recitato. Un omaggio, amaro ma sentito, nel 150° di questo Paese perennemente in balia del suo stellone che però, per l'appunto, non basta più.
Non resta che sorridere, dilaniati dal ricordo, presi nell'analisi dell'ineluttabile ineffabile presente, sperduti nella previsione di quel che sarà?
Gran commedia vista al Teatro “Leonardo” di via Ampère, Milano. Ovunque andrà, non perdetela. Pensate, si svolge ogni giorno. Intorno a voi, dentro di voi.
Alberto Figliolia