L'eco dell'ultima manifestazione “Se non ora quando” del 13 febbraio scorso mi spinge a considerare l'aspetto positivo della lotta delle donne per la propria liberazione. Si intravede, infatti, oggi più che mai, una reale possibilità di poter coinvolgere anche le più restie e pigre tra di noi a lottare tutte insieme per la rivendicazione dei nostri diritti; e non solo: per stabilire, anche, un patto intergenerazionale che connoti finalmente la lotta della donna, alla stessa maniera della lotta portata avanti dall'intera umanità per i diritti di tutte e tutti alla vita.
Quest'anno, poi, la ricorrenza coincide con l'ultimo giorno della festa di carnevale; e questa sovrapposizione casuale di data mi porta ulteriormente a riflettere sia sul senso della festa carnascialesca sia sull'altro significato più serio legato alla memoria di tante donne morte eroicamente agli inizi dello scorso secolo in un opificio di New York. Il carnevale, si sa, è un eccesso liberatorio dal sottile gioco della rappresentazione farsesca del quotidiano, illusione del disfarsi delle maschere imposte dalle relazioni distorte, fondate sullo scontro e sulla difesa ad oltranza dal volto dell'altro considerato nemico del nostro “io”. Tutto è lecito, è uno scherzo, un lazzo, un guizzo ironico della mente per schernire e sorprendere la monotonia del rapporto tra uomini e donne.
Quale collegamento potrebbe esserci tra il carnevale e la festa della donna? La festa della donna non è uno scherzo, una sacra rappresentazione dell'eterno femminino da idolatrare in modo ironico, ma è un amaro ricordo. È memoria di un giorno che, col passare degli anni, si tramutò poi, per opera della militante comunista Rosa Luxemburg, in giorno di lotta internazionale delle donne contro la discriminazione sessuale e per la difesa e il riconoscimento dei propri diritti economici, sociali e politici. Sembra che il doppio significato insito nella natura delle cose possa aiutare la riflessione sullo specifico femminile, come veniva definita anni or sono la differenza di genere e i problemi ad essa collegati. L'unico legame possibile tra le due ricorrenze è senza dubbio la globalizzazione del libero mercato che si impadronisce degli eventi per fare business; l'uso consumistico di coriandoli e mimose che si spandono in un folle volo sulle nostre città gonfie di beni materiali e svuotate di qualsivoglia bene spirituale.
Nella ricchezza si nasconde la miseria. I fili del male si intrecciano in modo inestricabile con i fili misteriosi del bene. Sembra che non si possa trovare soluzione alcuna ai problemi delle donne. Il Parlamento ha sempre problemi più urgenti da risolvere... ma basta una piazza dove si possa urlare la rabbia e il dolore, e l'attenzione della gente si concentra su un punto anche solo per poco e lentamente, se si riesce a mantenere desta l'attenzione in mezzo al turbinio costante delle news multimediali, si può riprendere il cammino per raggiungere la meta.
Noi donne stiamo facendo, dall'epoca della rivoluzione francese fino ad oggi, un percorso di liberazione per il riconoscimento della differenza e della parità dei diritti. Sarebbe utile che le giovani generazioni, nelle scuole o nelle associazioni, conoscessero meglio questa storia... ma non è questo aspetto della questione femminile il contenuto della mia riflessione.
Mi pare utile, invece, porre l'attenzione sul recente fenomeno dell'escortismo che sta pervadendo con più clamore il mondo dei nostri politici. Forse Ruby e le altre come lei non lo sanno, ma anche loro sono donne che dovrebbero iniziare un cammino di liberazione dal giogo patriarcale. Chi glielo farà notare? Non di certo il loro oppressore. Essere oppresse è un lavoro faticoso ma un lavoro. Non è forse considerato il mestiere più antico del mondo? Dal guadagno facile ed immediato e dalla coscienza sorda? Non è forse una donna libera dagli schemi moralistici, una che lavora con il proprio corpo? Alcune donne furbe come le “signorine a pagamento” evitano così l'ostacolo della povertà affidando il loro corpo ai giochi di un uomo che curano e allietano alleggerendolo dalle fatiche causate dal logorio del potere... Sono libere senz'altro queste donne ma non sono, certamente, donne liberate dall'ossessione sessuale.
Quante geishe, schiave del volere maschile nei secoli si sono date generosamente e continuano a farlo? Per un frainteso senso di appartenenza al proprio ruolo (una donna ama... non si vende) e per una non compiuta identità (il valore e la stima della sacralità del proprio corpo), in cambio della sicurezza e del benessere, si sono prostituite e si prostituiscono all'uomo potente che apparentemente le impreziosiva e le impreziosisce rendendole oggetto di desideri carnali più che soggetto e protagonista del cambiamento e della trasformazione nei costumi e nelle relazioni tra cittadine e cittadini di una società cosiddetta civile? Mentre milioni di donne oneste, povere, lavoratrici, schiave del martoriato sud del mondo, oppure ricche ed emancipate dell'occidente opulento, profughe e migranti con obiettivi comuni e differenti, in lotta sempre, tutte unite per rivendicare i diritti umani fondamentali e universali, per esprimere desideri, proporre e trasmettere saperi e pratiche di liberazione dall'antico dominio maschile, sono in continuo travaglio da ormai troppo tempo... altrettante rappresentanti del genere femminile sono invece impegnate a svendersi al miglior offerente.
Oggi in ogni settore della società la presenza femminile fa la differenza. Quale differenza? La visione dei problemi del mondo scritta dalla fatica femminile sui campi di grano, nelle risaie, nelle officine, nei luridi tuguri e nelle baraccopoli delle megalopoli di oriente e occidente, la lettura seria e determinata delle madri di tutte le piazze in rivolta contro il dittatore di turno, i pianti strazianti e le ferite dei corpi violati ed uccisi non rappresentano ogni giorno per ognuna ed ognuno di noi un senso profondo di conversione ad una vita giusta, dignitosa, pacifica? Non sono queste donne un richiamo autentico alla bellezza e alla bontà di ogni essere umano, donna o uomo che sia, e che ha il diritto di vivere e di non essere ucciso o uccisa? Ma questa differenza nell'azione nonviolenta si paga ancora a caro prezzo. La parità, utopia delle femministe degli anni '70, non è ancora pienamente realizzata. Non tutte le donne sono, però, consapevoli dei propri diritti e della propria uguaglianza sul piano della legge. Le nuove generazioni di donne pare che non si entusiasmino troppo a queste battaglie che furono invece ideali e scopi esistenziali delle loro madri. Strette dal bisogno di trovare un lavoro subito, sono propense per questioni di sopravvivenza ad accettare con facilità qualsiasi proposta venga fatta loro e, pur di uscire dai meandri tortuosi dell'indigenza, vanno incontro inconsapevolmente ad un'assurda felicità che le incatena per sempre alla schiavitù del corpo, al suo apparire fallace e precario.
Il lavoro onesto non si trova, la disoccupazione giovanile nel nostro Bel Paese è a livelli altissimi. La fuga dei cervelli aumenta, il popolo italiano è un popolo di vecchie e vecchi! Non sarebbe il momento, come è stato detto nella manifestazione ultima delle donne, scese nella piazze per protestare contro l'uso e la violenza dell'immagine del corpo della donna nella pubblicità, di sentirci ancora più unite tutte, anche se di corrente politica diversa, atee e religiose, nella comune lotta per la nostra liberazione? A cominciare dal lavoro, fonte di sostentamento onesto e dignitoso; lavoro per tutte, per poter crescere e realizzare ed esprimere pienamente il nostro “genio femminile”, senza paura di essere sminuite, oltraggiate, prevaricate ed uccise. Lavorare è un nostro diritto. Eppure l'articolo 37 della nostra Costituzione recita: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione».
In una società democratica come la nostra è urgente portare avanti una politica “paritaria”, non solo per puntare al miglioramento effettivo della condizione sociale della donna italiana, ma per creare anche percorsi lavorativi accessibili a tutti e tutte quelli e quelle che provengono da Paesi e culture differenti e che in questi giorni stanno arrivando sulle nostre coste per sfuggire ai regimi totalitari che non assicurano di certo un futuro lavorativo dignitoso.
Mi riferisco certamente al miglioramento dei servizi pubblici, come gli asili nido per le madri lavoratrici, il tempo pieno nelle scuole primarie, la defiscalizzazione del lavoro delle baby sitter e delle badanti, una effettiva tutela legislativa del lavoro delle donne, ad esempio: fissando delle “quote rosa”, imponendo ai datori di lavoro un'assunzione paritaria (uomo-donna) dei dipendenti e sanzionando efficacemente i sempre più frequenti licenziamenti “giustificati” dalla maternità.
Questo “otto marzo” vorrei infine che fosse una forte presa di coscienza soprattutto da parte di tutte quelle giovani donne che non si amano abbastanza e non credono che, solo puntando in alto, salvaguardano la propria dignità personale e rinsaldano la coscienza, con la ferma convinzione di appartenere al genere femminile e orgogliose di esserlo!
Mimma Iannò Latorre
(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 4 marzo 2011)
[Ringraziamo Mimma Iannò (per contatti: lkian@tin.it) per questo intervento.
Mimma Iannò Latorre è insegnante, impegnata per la pace e i diritti, partecipe di molte esperienze di intercultura e solidarietà, è referente del Cem (Centro di educazione alla mondialità). Un'ampia intervista è nei Telegrammi della nonviolenza in cammino n. 248]