Chissà se Ignazio la Russa si è preso la briga di leggere il Decreto Legge istitutivo la festività nazionale del 17 marzo 2011, uno sforzo minimo visto che il provvedimento (D-L n. 5/2011) consiste in appena due articoli, nemmeno venti righe.
Minimo ma forse eccessivo, perché se il suddetto l'avesse letto sarebbe di certo saltato sulla poltrona. Citandone espressamente l'articolo 2, comma 2, si evince infatti che «al fine di evitare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e delle imprese private... per il solo anno 2011 gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza ma, in sostituzione, alla festa nazionale per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia proclamata per il 17 marzo 2011». L'indennità in busta paga di cui godono i lavoratori per la festa delle forze armate, celebrata nella prima domenica di novembre con parate militari per il gran lustro dei relativi vertici politici, quest'anno non sarà dunque corrisposto.
Ha perciò prevalso il ragionamento di Roberto Calderoli, vale a dire barattare la festa per l'Unità d'Italia con un'altra già in calendario. Si è però astutamente evitato di sacrificare il primo maggio, come suggerito dall'esponente della Lega Nord, optando per una ricorrenza la cui sospensione non implica di lavorare un giorno in più e che, nella simbologia, scansa richiami conflittuali di carattere economico.
Perché alla fine, fra secessionisti ed unionisti, ad averla vinta sono stati i datori di lavoro (pubblici e privati), ben rappresentati da Emma Marcegaglia. Assai meno efficace la rappresentanza garantita dal Ministro della Difesa ai suoi simpatizzanti nazionalisti. Altrettanto inconcludente quella dei partiti di opposizione verso la categoria dei lavoratori, sulle cui tasche graverà la festa di tutti. Ad ogni modo c'è tempo fino a maggio inoltrato per correggere tiro, mutando il testo con la legge di conversione.
Temo però che stavolta i richiami del Quirinale sull'inemendabilità dei decreti saranno seguiti alla lettera.
Marco Lombardi