C’è un appuntamento che coinvolge in prima persona chi ritiene che la politica debba porsi il compito di concepire il possibile, prefigurare una società riformata, concorrere, come direbbe il filosofo Aldo Capitini, ad aggiungere realtà.
Il congresso del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito, che si svolgerà tra poco a Chianciano dal 17 al 20 febbraio, rappresenta sicuramente il modo migliore per esprimere, in modo costruttivo, concreto, propositivo, un’alternativa al disfacimento in atto (che non riguarda solo il nostro paese) a partire, innanzitutto, dalla questione del diritto (e, quindi, della legalità) e dei diritti individuali violati, negati, in diverse parti del mondo, incluso il cosiddetto vecchio continente.
Il problema centrale sta nella capacità di governare i grandi nodi politici e sociali del nostro tempo con gli strumenti della democrazia, incentivandoli, valorizzandoli, estendendoli. Solo accentuando la democrazia, e non contraendo i suoi spazi, si può, infatti, scongiurare l’eventualità, tutt’altro che peregrina, di un conflitto planetario come conseguenza dei tanti focolai che, a partire dal Medio Oriente, divampano in maniera contagiosa.
In un momento, come quello che sta attraversando il nostro paese, di stagnazione, per usare un eufemismo, di svilimento della politica con gravi e profonde ripercussioni nella sfera economica, sociale, culturale, è significativo e auspicabile che ci sia qualcuno che ci solleciti a guardare ben al di là del nostro orticello, nella prospettiva intuita, esattamente settant’anni fa, da Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni con quel Manifesto di Ventotene (scritto appunto, al confino, verso la metà del 1941) in cui si ravvisava nel nazionalismo l’ostacolo maggiore alla piena affermazione dei principi democratici.
Bisogna che si acquisisca consapevolezza che quanto accade nei singoli stati non può esulare dal contesto internazionale. C’è un intreccio indissolubile. Di qui il senso della battaglia di verità intrapresa da Marco Pannella perché si faccia luce sulle effettive motivazioni che portarono Tony Blair ad accettare, come unica soluzione, la decisione di Bush di scatenare il conflitto iracheno impedendo di fatto l’attuazione della proposta di esiliare Saddam. Sicuramente se si fosse optato per quest’ultima sarebbe stata evitata quella carneficina che, purtroppo, abbiamo conosciuto e che, ahinoi, certamente non si è arrestata.
Sull’Iraq, come su altre controversie internazionali, l’Europa poteva e può avere un ruolo tutt’altro secondario, se solo lo volesse, se solo nel suo seno non avesse lasciato prevalere particolarismi, egoismi, interessi burocratici, velleità nazionalistiche, e se, quindi, ci si fosse davvero adoperati per costruire quel processo d’unificazione (nei fatti, non sulla carta) di cui non si può che lamentare l’assenza.
Un’Europa debole, ridotta ad entità fantasmatica, non giova di certo alla diffusione della democrazia e del diritto nel mondo ma alle satrapie, ai regimi totalitari, ai fondamentalisti consapevoli di potere continuare a spadroneggiare impunemente.
La speranza di costruire un nuovo diritto internazionale s’infrange innanzi al rafforzamento di regimi apertamente autoritari, primo tra tutti quello di Pechino con il suo modello di sviluppo economico fondato sulla soppressione delle libertà individuali, sui laogai, sulla pena di morte, sul soffocamento nel sangue, in Tibet come nel Turkestan orientale, della legittima rivendicazione dei popoli alla propria sopravvivenza.
Se, poi, si estende lo sguardo a largo raggio ci viene incontro un quadro desolante, rabbrividente. Si pensi a quanto, nell’omertoso silenzio-assenso generale rotto, con grandi difficoltà, dai radicali, accade ai Montagnard in Vietnam, ai Khmer Khrom in Cambogia, in Birmania, e poi via via, in Russia (dove vige lo spietato ordine putiniano), in Cecenia, tra i monti del Caucaso, nel Daghestan, e, ancora, più giù, nel Mediterraneo, in Algeria, in Tunisia, in Egitto, nell’Africa devastata da lotte intestine, con il pretestuoso ricorso al tribalismo, fino all’America Latina dominata da una potentissima criminalità organizzata alimentata e sorretta da fallimentari scelte proibizionistiche.
A ben vedere, quindi, non mancano gli stimoli per recarsi a Chianciano, per partecipare a quella che può a tutti gli effetti essere considerata come la sessione costituente di una Organizzazione mondiale delle democrazie. Ė importante per non restare invischiati nell’asfittico scadimento della politica in bega giudiziaria, tra bunga bunga e deretani da un lato e pericolosi insorgenti giacobinismi dall’altro. Ė giusto e doveroso per restituire pregnanza alla vita della politica attraverso un’attenta, credibile, politica della vita.
Francesco Pullia
(da Notizie Radicali, 16 febbraio 2011)