È evidente per tutti che il pensiero politico si trova sempre più sorpassato dagli eventi. I Francesi, per esempio, hanno iniziato la guerra del 1914 con i mezzi della guerra del 1870 e la guerra del 1939 con i mezzi del 1918. Ma anche il pensiero anacronistico non è una specialità francese. Basterà qui sottolineare che, praticamente, le grandi politiche odierne pretendono di stabilire l’avvenire del mondo servendosi di principi concepiti nel XVIII secolo per quanto riguarda il liberalismo capitalista, e nel XIX per quanto riguarda il socialismo, detto scientifico. Nel primo caso, un pensiero nato nei primi anni dell’industrialismo moderno e, nel secondo caso,una dottrina contemporanea dell’evoluzionismo darwiniano e dell’ottimismo renano si propongono di mettere in equazione l’epoca della bomba atomica, dei bruschi cambiamenti e del nichilismo. Niente potrebbe illustrare meglio la sfaldatura sempre più disastrosa che si apre fra il pensiero politico e la realtà storica.
Beninteso, il pensiero è sempre in ritardo rispetto al mondo. La storia corre mentre il pensiero medita. Ma questo ritardo inevitabile diventa oggi sempre più grande in proporzione all’accelerazione storica. Il mondo è cambiato molto di più nel corso degli ultimi cinquant’anni di quanto non avesse fatto prima in duecento anni. E vediamo ancora adesso la gente accanirsi a risolvere problemi di frontiere quando tutti i popoli sanno che le frontiere oggi sono astratte. È ancora il principio delle nazionalità che è parso prevalere alla Conferenza dei Ventuno.*
Dobbiamo tener conto di questo nella nostra analisi della realtà storica.
Noi imperniamo oggi le nostre riflessioni sul problema tedesco, che è un problema secondario paragonato allo scontro di poteri che ci minaccia. Ma se, domani, concepissimo delle soluzioni internazionali in funzione del problema russo-americano, rischieremmo di vederci ancora una volta sorpassati. Lo scontro di poteri è già in procinto di passare in secondo piano rispetto allo scontro delle civiltà. Da ogni parte, in effetti, le civiltà colonizzate fanno sentire la loro voce. Fra dieci anni, fra cinquant’anni, sarà la preminenza della civiltà occidentale ad essere rimessa in questione. Tanto vale quindi pensarci subito e aprire il Parlamento mondiale a queste civiltà, affinché la sua legge diventi veramente universale, e universale l’ordine che essa sancisce.
I problemi posti attualmente dal diritto di veto sono falsati perché le maggioranze o le minoranze che si oppongono all’O.N.U. sono false. L’U.R.S.S. avrà sempre il diritto di rifiutare la legge della maggioranza fintantoché questa sarà una maggioranza di ministri, e non una maggioranza di popoli rappresentati dai loro delegati e fintantoché tutti i popoli non vi saranno equamente rappresentati. Il giorno in cui questa maggioranza avrà un senso, bisognerà che ciascuno le obbedisca o rifiuti la sua legge, ovverossia dichiari apertamente la propria volontà di dominio.
Allo stesso modo, se teniamo sempre presente questa accelerazione del mondo, corriamo il rischio di trovare il modo corretto di porre il problema economico attuale. Nel 1930, non si considerava più il problema del socialismo come si faceva nel 1848. All’abolizione della proprietà era succeduta la strategia della messa in comune dei mezzi di produzione. E questa strategia, in effetti, oltre a regolamentare nello stesso tempo il destino della proprietà, teneva conto della scala più vasta su cui si poneva il problema economico. Ma, dal 1930, questa scala si è ulteriormente estesa. E, così come la soluzione politica sarà internazionale, o non ci sarà affatto, così la soluzione economica deve riguardare innanzitutto i mezzi di produzione internazionali: petrolio, carbone e uranio. Se collettivizzazione deve esserci, essa deve concernere le risorse indispensabili a tutti e che, in effetti, non devono essere appannaggio di nessuno. Il resto, tutto il resto, rientra nel campo del discorso elettorale.
Queste prospettive sono utopistiche agli occhi di qualcuno, ma per tutti coloro che rifiutano di accettare l’eventualità di una guerra è opportuno sostenere e difendere questo insieme di principi senza alcuna riserva. Quanto a conoscere i percorsi che possono avvicinarci ad una simile concezione, essi non sono immaginabili senza l’incontro tra i socialisti di ieri e gli uomini di oggi, solitari nei disparati luoghi del mondo.
È possibile in ogni caso rispondere ancora una volta, e per tutte, all’accusa di utopia. Perché, per noi, la cosa è semplice: sarà l’utopia o la guerra, come ce la preparano sistemi di pensiero sorpassati. Il mondo ha facoltà di scelta oggi fra il pensiero politico anacronistico e il pensiero utopistico. Il pensiero anacronistico è sul punto di ucciderci. Per quanto diffidenti siamo (e io sia), il senso di realtà ci obbliga quindi a ritornare verso questa utopia relativa. Quando essa sarà entrata a far parte della Storia, come molte altre utopie dello stesso genere, gli uomini non immagineranno più altre realtà. Tanto è vero che la Storia non è altro che lo sforzo disperato degli uomini per dare corpo ai loro più chiaroveggenti sogni.
* La conferenza dei 21 Stati vittoriosi tenutasi a Parigi, al Palazzo del Louxembourg, il 29 luglio 1946, doveva fissare le frontiere dei paesi alleati della Germania: Italia, Romania, Bulgaria, Ungheria, etc.
Albert Camus, Ni victimes Ni bourreaux (in Combat, nov. 1946)
Traduzione di Ivana Cenci
(6 di 8 – La pubblicazione in Tf proseguirà, regolarmente e con continuità, ogni martedì)