La poesia, se si ama, si lascia udire e provoca nello spazio il silenzio e il grido che fanno vibrare le corde delle emozioni. E la poesia di Barbarah Guglielmana si lascia udire: le parole dure, soavi, fresche, nuove, essenziali entrano dalle orecchie ed appaiono davanti agli occhi quali immagini con i loro colori, con la loro luce e le loro ombre per sciogliersi poi in contemplazione. Il fascino di queste immagini consiste nella loro raffinata semplicità.
Il suono delle parole si succede con un ritmo variegato, ma che ha la capacità di concentrare in sé tutte le significazioni e un linguaggio solo apparentemente formale. È un linguaggio privo di retorica, essenziale e dinamico dove la Nostra sa inserire, con maestria, vocaboli, a mio avviso voluti e ricercati. Vocaboli che sanno creare un rapporto simbiotico tra la linearità interpretativa del vissuto, del reale e l’immaginario solo accennato: Vita –uomo e natura– che assurge ad una miscellanea di ruoli. Ed è qui che la vena poetica di Barbarah esplode come evento ribelle e connaturato per ricomporre il puzzle dell’esistenza, quella più difficile.
Le poesie di Rondini come formiche (a me non piace citarne perché, come dice Octavio Paz, «ogni lettore è un altro poeta, ogni testo poetico, un altro testo», quindi il testo letto diventa personale e soggettivo) sono espresse con capacità di sintesi e di stile personale che rende superflua l’identità alla quale si potrebbe o, per meglio dire, si vorrebbe far riferimento.
Sono poesie mature, vissute. Alcune che vanno a fondo del contenuto, che scorre come una pellicola, evidenziando le sue peculiarità; altre in cui il contenuto, come punto di partenza (solo alcuni fotogrammi), è lasciato libero nello spazio quale significazione di concetti che vanno oltre il quid. Queste ultime sono poesie brevissime, composte a loro volta di versi assai brevi –alcuni addirittura di una sola parola– e costruite su valori d’intensa emotività e di significato. È demandato, quindi, al lettore l’aprire il testo e completarlo con la propria sensibilità e con le proprie conoscenze.
Chiedo venia se ora mi contraddico venendo meno a quando sopra detto, ma credo che si rende necessario citare la testimonianza, di luce vestita, di queste perle d’esaltazione della parola singola, dei suoi valori di sonorità e dei suoi valori di significato: «sfilacciata/ sbiadita/ profumata…» e «areata/ sfavillo / tramortita». Queste due poesie concentrano in loro tutto il linguaggio, tutte le significazioni.
Mano a mano che gli occhi si soffermano sui versi di Barbarah non solo sentiamo le parole ma le tocchiamo e le assaporiamo perché sanno destare in noi le sensazioni d’immagini mentali che il nostro “io” rielabora e vive. E non solo: scopre concetti innervati da splendide immagini intessute da forza, d’amore, di sofferenza, di nostalgia e… di silenzio reso visivo dallo spazio bianco le circonda nella pagina.
Può sembrare contraddizione l’alternanza di poesie brevi, avanti descritte, a poesie con frasi ma si può dire che intenzionalmente la Nostra, in cerca di un nuovo linguaggio, ci propone il suo itinerario stilistico:
- Linguaggio privo di retorica, delle vecchie forme ed esaltazione della parola.
- Costruzione della frase con parole libere e/o rivestite a nuovo.
Parafrasando Manzoni: A voi l’ardua sentenza, ma per sentenziare bisogna leggere/udire Rondini come formiche. Buona lettura e buon ascolto.
Giovanni De Simone
(dalla “Bottega letteraria” n. 49 – 'l Gazetin, febbraio 2011
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