Trattare del rapporto tra scuola e lavoro nell'Italia di oggi non è facile. In tempo di crisi poi il discorso si fa ancora più complesso, soprattutto quando si vedono ragazzi diplomati o laureati che non hanno alcuna prospettiva di occupazione davanti a loro. Prescindiamo quindi dal problema lavoro, che pure è il problema più drammatico per i giovani d'oggi, e soffermiamoci un poco sulla qualità educativa e culturale delle nostre scuole superiori, dagli istituti tecnici ai licei, e sui risultati che i nostri studenti conseguono.
Chiediamoci: ancor prima delle competenze specifiche relative ai diversi indirizzi, quali regole e quali conoscenze dovrebbero possedere i nostri ragazzi? Innanzitutto è bene verificare se il contesto disciplinare nel quale studenti e insegnanti operano sia adeguato alle richieste pedagogiche e didattiche necessarie all'apprendimento. Ovvero: c'è sufficiente disciplina (termine ormai desueto...) nelle nostre scuole? Pare proprio che non si possa rispondere affermativamente. In molte, troppe scuole, i professori appaiono all'angolo, intimiditi e impediti nel loro lavoro da atteggiamenti bulleschi e irrispettosi che non aiutano certamente l'attività didattica. Ora non si tratta di tornare alle scuole-caserma di un tempo, quando presidi e professori disponevano di uno strapotere che non ammetteva discussioni, ma occorre rendersi conto che una minoranza di scalmanati non può impedire ai compagni di apprendere e ai professori di insegnare. È ora di fermare una deriva di tolleranza e di perdonismo a buon mercato che non fa che danneggiare l'attività di insegnamento. Voglio essere chiaro: chi non sa stare in classe stia fuori e se proprio non è in grado di correggere i suoi comportamenti se ne stia a casa. Gli alunni volenterosi hanno diritto di studiare e i professori hanno diritto al rispetto e all'ubbidienza (altro termine fuori moda, ahimè...). L'invadenza dei genitori è spesso corresponsabile degli atteggiamenti sbagliati dei ragazzi. Scaricare sul professore antipatico il proprio fallimento scolastico è un'operazione troppo comoda e una via di fuga troppo facile. Certo, ci sono anche dei casi nei quali gli insegnanti arrivano a impedire allo studente di mettere a frutto le proprie potenzialità, e allora occorre intervenire, ma troppo spesso si tende a vedere nei docenti ostilità e malanimo che sono invece soltanto nell'immaginazione degli studenti e dei loro genitori. Per farla breve: senza disciplina e senza reciproca fiducia tra scuola e famiglia non si va da nessuna parte.
Un altro aspetto (apparentemente minore, ma minore non è) che si tende a sottovalutare è quello della scrittura. Intendo la scrittura come tecnica o modo di scrivere, ovvero il saper scrivere a mano, in corsivo prima che in stampatello (e qui occorre chiamare in causa la scuola elementare), il saper prendere appunti durante le lezioni riportando a penna le annotazioni su fogli o su quaderni con la dovuta diligenza. Non mi si venga a dire che oggi queste operazioni non servono perché si fanno col computer o che tutto questo è ormai superato, perché non è così. È uscito proprio recentemente sull'autorevole rivista americana Science uno studio che conferma su basi scientifiche quello che già si sapeva: per elaborare e memorizzare i dati è infinitamente più utile scrivere a mano che col computer, così come è indispensabile, per lo sviluppo della memoria e della sensibilità linguistica, studiare brani e poesie a memoria. Sto celebrando con queste affermazioni la scuola del passato? Niente affatto, ma è chiaro che non intendo proprio denegare quanto di buono la scuola di un tempo ha prodotto. Ma non voglio parlare del passato.
Voglio continuare invece a considerare, sia pure velocemente, alcuni aspetti della nostra scuola superiore per dire che mi piacerebbe che tutti gli studenti dei diversi indirizzi, geometri, periti, ragionieri, liceali, ecc., arrivassero a conoscere almeno nei suoi tratti essenziali la storia del nostro paese. Purtroppo anche in questo campo c'è molto da rivedere. Personalmente non posso accettare che un ragazzo delle scuole superiori non sappia, tanto per fare un esempio concreto, come si sia arrivati all'unità d'Italia, della quale stiamo celebrando il 150° anno. Ritengo ingiustificabile che poco o niente si sappia dei moti risorgimentali, delle guerre di indipendenza, dei plebisciti, della spedizione dei Mille, della questione romana, ecc. Poi magari capita di sentire qualcuno, che proprio non sa nulla di quanto sopra, che senza esitazione alcuna esclama: - Ma Garibaldi era un bandito! - Che dire di fronte a tali sciocchezze? Oppure capita di sentir dire che il fascismo c'è stato in Italia negli anni Cinquanta! Ma... Totalmente ignorata poi è la storia locale, come quella della nostra Valtellina, coi suoi tre secoli di dominazione grigione e tutto quel che segue. Insomma, c'è da riflettere (o da rabbrividire). È inutile dotarsi di strumentazioni e apparecchiature di ogni genere, di computer, di cellulari con mille funzioni, ecc. se poi non si è in grado di delineare la più semplice traccia della storia di casa propria. E pensare che Cicerone, già duemila anni fa, ebbe a scrivere: «Chi non conosce quanto è avvenuto prima che lui nascesse, rimane eternamente bambino».
Altrettanto grave è il fatto che i nostri ragazzi (con qualche eccezione, per fortuna) non conoscano la geografia. Ma come è possibile ignorare una materia come questa che è la base di qualsiasi studio? Come si possono studiare la storia, la letteratura, la storia dell'arte, l'economia, le scienze, ecc., senza conoscere la geografia? Non è possibile ignorare dove sono avvenute le guerre, dove si sono svolte le più importanti spedizioni o le più coraggiose esplorazioni, o dove si sono sviluppate le grandi civiltà. Nel campo economico non si può ignorare la provenienza della materie prime, le rotte del commercio o, nei nostri tempi, la direzione dei flussi turistici. E sono soltanto alcuni esempi. Eppure, del tutto inspiegabilmente, la geografia passa in secondo (o in terzo) piano nelle nostre scuole mentre invece essa è, come si diceva, la madre di tutte le discipline. Basta leggere quanto ha scritto di questa materia un intellettuale di livello mondiale come il filosofo americano John Dewey (1859 – 1952), il quale giustamente riteneva che non vi potesse essere insegnamento senza un'adeguata preparazione in geografia. Occorre pertanto rendersi conto di tutto questo e adottare i necessari provvedimenti. Saremo in grado di farlo? Ripeto: lo studio della geografia costituisce la base per lo studio di tutte le altre materie.
Tra le materie accennavo prima alla storia dell'arte e mi chiedo perché un geometra, un perito o un ragioniere non debbano studiare questa disciplina. È accettabile un simile vuoto culturale per chi vive in un paese come l'Italia? Tutti sappiamo che il nostro è un paese straordinario per le ricchezze artistiche, i musei, le chiese, i monumenti, le città d'arte. Abbiamo avuto i più grandi pittori, scultori, architetti, personaggi straordinari che si sono imposti sulla scena del mondo. Perché non conoscerli? Perché non conoscere le loro opere, per ammirare le quali arriva gente da ogni angolo del pianeta? Tutti gli studenti italiani dovrebbero studiare la storia dell'arte, a qualsiasi indirizzo siano iscritti.
Per chiudere mi si permetta un'ultima considerazione. Non si perda troppo tempo alla ricerca di un insegnamento sempre e comunque “politicamente corretto”. La censura, cacciata dalla porta, non deve rientrare dalla finestra. Perché di questo passo, aboliti i crocifissi e i presepi, arriveremo a far sparire dalle nostre scuole la “Divina Commedia” e “La Gerusalemme liberata” come opere anti-islamiche, o libri di importanti autori (l'elenco sarebbe assai lungo) perché ritenuti, a torto o a ragione, testi antisemiti, o altri ancora perché considerati razzisti (anche quando non lo sono). Chi scrive si ritiene per questo anti-islamico, antisemita o magari razzista? Neanche per sogno, amici lettori, ma se continueremo con la ricerca ossessiva del “politicamente corretto” finiremo per non venire più a capo di nulla. Ricordiamoci sempre che la libertà di pensiero è la cosa più bella e l'ignoranza è la cosa peggiore. Soltanto l'ignoranza può offendere le varie sensibilità, prima tra tutte quella dei cittadini italiani, sempre desiderosi di veder fare al loro paese quel salto di qualità che esso merita. Soltanto una scuola pubblica seria, disciplinata, aperta ed efficiente può aiutarci a costruire un'Italia migliore, soltanto essa può aiutare i nostri giovani a maturare e a crescere come uomini liberi.
Gino Songini
* Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti d'America, nel discorso sullo stato dell'Unione del gennaio scorso.