L’articolo che segue è apparso il 4 febbraio su The Financial Times. Il giorno dopo, nella traduzione di Fabio Galimberti, è stato pubblicato da Il Sole 24 Ore. Ne pubblichiamo qui la versione in italiano.
Per noi europei, le immagini delle sommosse popolari in Nordafrica non possono non richiamare alla mente le rivolte per la democrazia in Europa orientale nel 1989. Ma la reazione della Ue non sembra improntata alla stessa passione e allo stesso entusiasmo di allora. Nel Mediterraneo, la Ue ha seguito per lungo tempo la strategia di puntare su regimi autoritari, per mantenere la stabilità e difendere la sicurezza dell’Europa, conservando al contempo un’attenzione di facciata per la democrazia e per i diritti umani. Ora il popolo tunisino e quello egiziano hanno dimostrato di prendere questi valori universali sul serio, più di quanto non facciano i leader europei, e la risposta della Ue fino a questo momento è apparsa esitante.
Naturalmente, le insurrezioni in corso nel mondo arabo - e innanzitutto in Egitto - presentano dei rischi per l’Europa e per la regione. È impossibile prevedere come reagiranno all’improvvisa apertura dello spazio politico delle società turbolente e in rapida trasformazione, che hanno sofferto per decenni sotto regimi autoritari. Ma sappiamo che la strada della repressione, che la Ue ha tacitamente sostenuto, era basata su un’illusione. L’Europa deve approfittare di questo momento per dimostrare che crede nei principi che proclama, e per sostenere con tutto il suo peso le forze che si battono per un cambiamento democratico. In questo momento il miglior contributo che si possa dare agli sviluppi in corso in Egitto, in Tunisia e in tutto il Medio Oriente arabo non è mostrarsi prudenti, ma mostrarsi audaci.
Probabilmente non possiamo fare granché per influenzare la situazione in Egitto sul breve termine, ma dobbiamo dire con chiarezza che le relazioni future con questo Paese dipenderanno dal comportamento che seguiranno i suoi leader in questi giorni decisivi.
Dobbiamo dire che siamo pronti a dare la nostra assistenza per facilitare la transizione alla democrazia, ma che la repressione e la violenza spingeranno la Ue a rivedere i rapporti commerciali e gli aiuti all’Egitto, a riconsiderare gli stretti legami esistenti con le élite politiche di quel paese. Soprattutto, dobbiamo prendere misure decisive per dimostrare che è finita l’epoca in cui guardavamo con paura ai cambiamenti nel mondo arabo. I leader europei devono dimostrare di essere consapevoli dell’importanza storica di questo momento, e sostenere le aspirazioni della gente a un sistema politico aperto ed equo.
I manifestanti in Tunisia, in Egitto e in altri Paesi hanno dimostrato che le loro società stanno cambiando, e che il desiderio di un Governo che rispetti la dignità dei propri cittadini non è assente nel mondo arabo. Le proteste hanno segnato l’emersione sociale di una nuova generazione, parte di una vasta massa di giovani a loro agio con i nuovi media e in contatto con il resto del mondo, che chiedono ai loro leader di rendere conto del proprio operato.
Prima che esplodesse questa rivolta, questa convinzione era implicita nella strategia dell’Unione europea, anche se non veniva proclamata in modo diretto. È una strategia che si è rivelata fallimentare. La Ue deve trovare approcci nuovi e innovativi per dialogare con queste società e raggiungere i nuovi interlocutori sociali, tra cui l’emergente classe media. Soprattutto dobbiamo smetterla di cadere nella trappola di dare l’impressione di avallare regimi antidemocratici e di preferire uomini forti a istituzioni democratiche forti. Nei suoi rapporti con gli altri Paesi del Mediterraneo meridionale e orientale, la Ue deve trovare un modo migliore per lavorare insieme ai Governi in modo da proteggere gli interessi europei senza fornire legittimazione a sistemi repressivi. I funzionari Ue hanno sicuramente le capacità politiche per chiedere con coerenza cambiamenti reali e al tempo stesso collaborare negli ambiti di interesse reciproco. La Tunisia e l’Egitto mostrano chiaramente che l’assenza di riforme non rappresenta un’opzione sostenibile.
La priorità in questo momento è l’Egitto, dove il bivio tra riforma politica e repressione è sotto gli occhi di tutti. Ma questo è un momento chiave, di importanza fondamentale per l’intera regione. La Ue deve superare la sua prudenza e la sua inerzia istituzionale e mostrare di essere consapevole della posta in gioco.
Emma Bonino, Anthony Dworkin
(da Il Sole 24 Ore, 5 febbraio 2011)