Per Clara, accoltellata dal marito, mentre andava a fare il suo lavoro di donna delle pulizie, perché voleva la separazione (Napoli, luglio 2010).
Per Teresa, freddata da colpi di pistola a trent'anni, stesso motivo, omicida il marito (Milano, settembre 2010).
Per Anna, alla cui casa l'ex compagno ha dato fuoco, procurandole ustioni gravi sul 50% del corpo (Roma, luglio 2010).
Per un'altra Anna, uccisa per strada a colpi di pistola, mentre portava in braccio la figlioletta di un anno e mezzo (Foggia, settembre 2010).
Per Cesarina, che mostrava quotidianamente i suoi lividi e che nessun politico filantropo ha soccorso, uccisa di botte dal compagno a 47 anni (Pisa, agosto 2010).
Per Anna Rosa, vittima di un tentato omicidio che l'aveva mandata in coma nel 2005, ed uccisa cinque anni dopo con un coltello da macellaio: opere del suo ex che lei aveva denunciato più volte e che per averla ridotta in fin di vita aveva scontato solo quattro mesi di carcere grazie ai “benefici” di legge provvisti dall'attuale governo (Matera, dicembre 2010).
Per la ragazza marocchina, sfigurata dal lancio di acido muriatico, che non è “nipote di Mubarak”, che nessuno ha intervistato, nessuno ha richiesto nelle discoteche o per gli spot pubblicitari, di cui nessuna consigliera regionale si occupa (Milano, agosto 2010).
Per la giovane rumena torturata per sei mesi, da un uomo con il doppio della sua età che aveva respinto, prima che i vicini di casa decidessero di mettere fine a quelle urla fastidiose chiamando la polizia (Roma, settembre 2010).
Per la studentessa di 22 anni, che dopo essere stata violentata nel parcheggio della discoteca da una guardia giurata, ha dovuto subire anche l'oltraggio della “difesa” di costui: “Credevo fosse ubriaca” (Venezia, agosto 2010).
Per la ragazzina di 13 anni violentata per mesi da un gruppo di giovanotti che si premuravano di riprendere gli stupri con i telefonini (Bari, dicembre 2010).
Per le due ragazze a cui un pregiudicato (condannato 26 volte, e persino per stupro di minore, ma a piede libero) ha dato fuoco, urlando ad una di loro: “O mia o di nessuno” (Torino, maggio 2010).
Per le due bimbe che hanno subito per anni, ogni giorno, le violenze sessuali loro inflitte dal nonno (Avellino, gennaio 2011).
Per le due quattordicenni ridotte a “schiave sessuali” da quattro loro coetanei (Brindisi, dicembre 2009).
Perché se la fidanzata ti lascia, puoi essere così arrabbiato da uccidere la prima donna che vedi per strada (Milano, agosto 2010).
Per tutte le giovani ed i giovani che hanno partecipato a concorsi pubblici ma non erano cubiste, soubrette, veline o parenti di qualche politico, e quindi non li hanno vinti.
Perché l'Italia ha il primato europeo delle molestie sessuali sul lavoro: 10 milioni e 485 mila donne italiane che hanno subito molestie fisiche, molestie verbali, pedinamenti, atti di esibizionismo, telefonate oscene, o ricatti sessuali nei loro luoghi di lavoro (Istat, 2009).
Perché il tasso di inattività femminile italiano nel 2009 (48,9%) è il secondo nell'Unione Europea, inferiore solo a quello di Malta, ed una donna su due ha rinunciato a cercare lavoro (Istat, 2010).
Perché ai problemi delle madri lavoratrici il governo in carica ha risposto consigliando di “usare” le nonne (“Italia 2020. Programma di inclusione delle donne nel mercato del lavoro”, 2010, documento co-firmato dalla Ministra Carfagna e dal Ministro Sacconi).
Perché i rifugi e i centri antiviolenza sono costretti a chiudere per la mancanza di fondi: quelli che il governo delle “riforme” aveva promesso e non ha mai dato.
Perché il 4 febbraio scorso una diciassettenne si è impiccata nel bagno della scuola: riteneva che il suo corpo non rispondesse agli standard richiesti dalla cultura dominante, quelli delle pubblicità, quelli dei festini ad Arcore e a Palazzo Grazioli, quelli dei programmi televisivi, quelli richiesti per esistere come donna a qualche livello, per essere viste, per essere considerate.
Ecco perché vado in piazza con le altre donne, e spero con altri uomini, il 13 febbraio prossimo.
Per far cominciare la primavera.
Maria G. Di Rienzo
(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 7 febbraio 2011)