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Daniele Dell’Agnola. Un fumetto sul tema della violenza giovanile
02 Febbraio 2011
 

K., un fumetto di Andrea Olgiati, prodotto dalla Fondazione Damiano Tamagni, è stato presentato martedì 1° febbraio 2011 a Locarno, davanti ad un folto pubblico. È una storia di relazioni, di bisogni adolescenziali. Sfocia in una violenza che ci sorprende. Il fumetto andrebbe letto con ragazzi di terza o quarta media. È consigliabile una lettura accompagnata da un adulto, affinché il messaggio sia elaborato, discusso con la classe o con i figli.

Insomma, è un testo che chiede comunicazione tra adulto e adolescente.

 

Il paesaggio grigio nel quale si svolge la tragedia narrata in K. Raffigura metaforicamente un deserto comunicativo, una mancanza di conforto affettivo e di confronto maturo che smuove nel cuore di due adolescenti una sproporzionata e insensata reazione. K. ucciderà S. durante un litigio scoppiato a causa di una sorta di “primo amore” sfociato tra lo stesso S e la sorella dell’ingelosito K.

Le biografie di questi personaggi sono estreme, infatti i giovani di oggi non sono decifrabili, nella loro totalità, in queste pagine: anzi, dal nostro osservatorio, in qualità di insegnanti, ci sembra che il problema della violenza giovanile e del disagio tocchi certamente alcuni casi, ma i problemi conflittuali sono forse più evidenti nel mondo degli adulti.

 

Nel romanzo Margherita Dolcevita di Stefano Benni, la protagonista della storia, una simpatica e intelligente quattordicenne afferma:

«...io, che sono una bambina in scadenza, penso:

a) che i grandi non hanno più nulla da insegnarci;

b) che sarebbe meglio che noi prendessimo le decisioni, e i temi scolastici contro la guerra li scrivessero loro;

c) che dovrebbero smettere di fare i film dove la giustizia trionfa e farla trionfare subito all’uscita del cinema.

Ebbene sì, sono polemica».

I giovani devono crescere in un contesto di instabilità e proprio loro hanno bisogno di stimoli per una crescita emotiva sana. Forse hanno bisogno di conoscere e riconoscere la fatica, che fa parte della quotidianità.

 

Prima della pubblicazione, il fumetto K. è stato proposto ad alcuni allievi di terza e quarta media, su invito dell’Associazione Damiano Tamagni. Agli studenti è stato richiesto un commento in forma scritta, elaborato durante l’ora di classe. I ragazzi sono rimasti colpiti dalle immagini. Alcuni avrebbero gradito una documentazione multimediale, in linea con l’epoca tecnologica che ci guida inesorabilmente verso la simultaneità dell’informazione, a scapito di quelle faticose operazioni sequenziali che si chiamano lettura e scrittura. Si pensi che alcuni ragazzi avrebbero voluto utilizzare il fumetto come strumento di partenza, per sviluppare un cortometraggio sul tema della violenza. Si tratta di idee-progetto ampie e impegnative per qualsiasi docente che, nell’ora di classe è sempre più sollecitato, da più parti, nei compiti di sensibilizzazione, prevenzione alle dipendenze, orientamento professionale, progetti d’istituto eccetera.

Tuttavia il fumetto può diventare uno strumento di lavoro per iniziare delle attività di scrittura, di elaborazione di testi come il riassunto, l’autobiografia oppure l’argomentazione. Il tema del conflitto infatti è ben presente e la storia di K. solleva degli interrogativi interessanti. Aldilà dell’esito estremo (un ragazzo viene ucciso a sassate), il conflitto, nella sua dimensione più comune, aiuta a crescere se si impara ad affrontarlo. Mi auguro che l’idea di invitare i ragazzi a scrivere, partendo da uno stimolo del genere potrà essere accolta da qualche docente di classe.

 

Un allievo al quale era stato sottoposto K., mi chiese:

Ma se uno è un violento, se legge questo fumetto cambia idea? Secondo me no, prof.

Luisa, una sua compagna piuttosto sveglia… in quell’occasione rispose:

Mauro, e se invece non ne parlassimo del tutto? Se facciamo finta che non esiste ‘sta cosa? Cambierebbe qualcosa? Secondo me sì.

 

Rachele (14 anni) invece ha scritto questo testo:

«Ai bambini hanno sempre insegnato che il conflitto è qualcosa di “non buono”. Insomma, da piccoli i tuoi genitori hanno il compito di insegnarti tante cose. Specialmente ti fanno capire la differenza tra il bene e il male, fra quel che è giusto e sbagliato, fra il coraggio e la paura, fra l’altruismo e l’egoismo. Alcuni forse il concetto non lo afferrano subito.

Altri invece capiscono al volo le cose. Ed è qui che si distinguono le persone in un conflitto.

Ci sono coloro che hanno già tutto chiaro: lasciano correre. Altri, non appena qualcuno dice qualcosa, subito reagiscono in modo violento, immediatamente scattano come se avessero una molla nel corpo.

Possiamo quindi distinguere due tipi di conflitti: quello verbale e quello fisico. Non ce n’è uno “migliore” per così dire, ma forse il meno peggio è quando non lascia delle conseguenze fisiche o morali permanenti.

Crescendo si capisce che un conflitto può avere un aspetto positivo: se ci aiuta ad esporre i nostri pensieri, le nostre paure e i nostri dubbi, con chi non la pensa come noi. Per poter avere questo tipo di rapporto bisogna saper accettare altri punti di vista e riconoscere i propri errori.

Insomma, alla fine se si sa rispettare se stessi e gli altri, il conflitto si trasforma in un confronto positivo».

Il racconto è triste, le parole sono rare, la comunicazione tra i personaggi è flebile. Trasformare questa tristezza in positività, nella costruzione di un messaggio intelligente, è l'obiettivo della Fondazione Tamagni.

 

Daniele Dell’Agnola


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