«La libertà e i diritti civili e politici sono valori universali a cui tutti i popoli, senza distinzioni, legittimamente aspirano. E se la prima responsabilità di quanto avviene in Egitto e Tunisia e potrebbe accadere in Algeria, Giordania o Sudan è di quei regimi, la seconda è delle democrazie occidentali per il loro sostegno acritico ai governi più autoritari, in nome della “stabilità”». È su questo punto che insiste Emma Bonino, vicepresidente del Senato, radicale, attivista per i diritti umani, che ha vissuto a lungo al Cairo e ha poi continuato a seguire l’evoluzione (involuzione) della società egiziana.
– Come si è arrivati a queste sollevazioni?
«Era impossibile prevedere il giorno esatto, ma una pentola a pressione senza valvola di sfogo per forza esplode. La stragrande maggioranza dei nostri diplomatici, politici, esperti, giornalisti non l’avevano capito perché non conoscono l’arabo, in missione incontrano solo l’establishment, pensano che democrazia e stato di diritto siano esclusive dell’Occidente, il che è stato ed è una forma di paternalismo deleterio e di razzismo. Ce lo ricordava Amartya Sen nel suo libro Libertà come sviluppo, troppo presto dimenticato. Lo sosteneva Kofi Annan, e veniva preso per pazzo».
– Come spiega questa posizione?
«L’Occidente ha sempre sostenuto dittatori corrotti e sanguinari, da Amin Dada a Bokassa, prima in chiave anti-comunista, poi in quella anti-terrorismo e anti-qaedista. Ora siamo tornati alla Realpolitik tradizionale, basta essere pro libero mercato per essere “affidabili”. Una politica miope che ha spianato la strada agli estremismi e paradossalmente sacrificato una stabilità più durevole in cambio di una a corto respiro. E poi noi occidentali abbiamo questa malattia congenita di preferire l’uomo forte a forti istituzioni».
– Vale per Usa, Europa, Italia?
«Ancora in questi giorni abbiamo sentito dalla Clinton ai francesi, con particolare cinismo, puntare sulla sopravvivenza dei vari raìs, invocando magari la loro “saggezza e lungimiranza”, come ha fatto Frattini, senza prendere minimamente in considerazione le legittime rivendicazioni di quei popoli. Ma l’America di Obama è impegnata a uscire dalla crisi economica e dall’eredità di Bush, guarda all’Asia. Per l’Europa è diverso».
– Cosa rimprovera all’Europa? E all’Italia?
«Di continuare a chiudere la porta in faccia alla Turchia, di essere disattenti verso la sponda Sud del Mediterraneo, nonostante iniziative grandiose e velleitarie come il Processo di Barcellona e l’Unione per il Mediterraneo, di rinunciare a ogni iniziativa in Medio Oriente per “due popoli, una democrazia...”, magari favorendo l’entrata di Israele nell’Ue, di predicare mentre calpesta i diritti delle minoranze e degli immigrati ed è in corso una vera crisi della e delle democrazie. E l’Italia non fa nemmeno una scelta europea, ma preferisce i Putin e i Gheddafi. Vuole la Turchia nell’Ue ma è poco determinata nel promuoverlo, anche se questo governo appoggia le nostre lotte, ad esempio, contro la pena di morte e le mutilazioni delle bambine».
In questa lotta lei ha lavorato con Suzanne Mubarak.
«Perché non ho paura di dialogare con chicchessia per promuovere aperture, difendere i diritti delle donne, portare avanti i valori di democrazia. In Egitto, ad esempio, la lotta contro le mutilazioni ha successo perché le donne hanno una grandissima vitalità che molti da noi non vedono. La leadership resta maschile, non è la Svezia, ma soprattutto le giovani partecipano alle proteste, si fanno sentire».
– Come vede la transizione in Egitto e Tunisia?
«Difficile, complessa, piena di rischi: tutto farei tranne elezioni rapide, non dobbiamo ripetere gli errori fatti in Afghanistan pensando di esportare la democrazia sui missili cruise e dopo la distruzione andando alle urne. Poco importa la persona, El Baradei o un altro, prima va attuata una vera trasformazione. Ci sono molti rischi ma anche opportunità».
– E in sintesi cosa chiede a Europa e Usa?
«Di ripensare le loro politiche, tenendo sempre in mente che la democrazia sta sempre dalla parte giusta della Storia».
Cecilia Zecchinelli
(dal Corriere della sera, 1° febbraio 20111)