La vita quotidiana nei Lager era scandita da numerosi controlli e ispezioni, e frequenti erano le punizioni anche di carattere corporale che in alcuni casi provocavano lesioni mortali. Gli alloggi consistevano in baracche prive di servizi igienici, una stufa e con letti a castello di due o tre piani. A ogni internato veniva assegnato un pagliericcio e due coperte corte. Anche l’abbigliamento era insufficiente poiché gli internati disponevano perlopiù della divisa con la quale erano stati catturati. Cosicché quelli che provenivano dal fronte greco o balcanico indossavano divise estive, inadatte al rigido inverno tedesco.
Dopo pochi mesi in alcuni Lager scoppiarono epidemie di tifo ma le patologie più comuni erano edemi da fame, gastroenteriti, pleuriti, polmoniti e tubercolosi. Ne furono colpiti circa il 25% degli internati. Il problema era talmente ampio che nell’estate del ’44 la Wehrmacht decise di rimandare in Italia gli ammalati, che costituivano solo un costo. Così nei mesi di giugno e luglio alcuni treni arrivano in Veneto, ma l’effetto fu devastante, come denunciò l’ambasciatore tedesco Rudolph Rahn:
Il 4 giugno l’arrivo alla stazione di Padova di un treno carico di IMI gravemente ammalati di tubercolosi proveniente dalla Germania ha suscitato una bruttissima impressione nella popolazione cittadina, accorsa in massa in stazione con molti generi alimentari. I malati erano in condizioni spaventose, e la cosa è ormai sulla bocca di tutti. Catastrofiche conseguenze sul piano propagandistico, generale ondata di odio e maledizioni contro la Germania.
I rimpatri furono immediatamente bloccati. Vista la situazione, il plenipotenziario per l’impiego della forza lavoro, Fritz Sauckel, cominciò a fare pressioni per uno sfruttamento qualitativo del lavoro degli internati italiani, proponendo di trasformarli in lavoratori civili. Riuscì con fatica a convincere Hitler, riluttante, perché per lui i soldati italiani erano il simbolo del tradimento da punire con inflessibilità.
Finalmente il 3 agosto 1944 Keitel (capo dell’OKW-Wehrmacht) dispose il rilascio degli IMI, purché sottoscrivessero una dichiarazione con la quale si impegnavano a lavorare in Germania fino alla fine della guerra alle stesse condizioni della manodopera civile italiana. Questo provvedimento riguardava solo gli internati all’interno dei confini della Germania, ma non gli ammalati, non gli ufficiali, non le persone ritenute poco affidabili politicamente, e neppure quelli che dipendevano direttamente dalla Wehrmacht.
“Il problema degli IMI è risolto”, titolò in prima pagina il Popolo d’Italia.
A questo punto successe una cosa che i tedeschi non avevano assolutamente previsto: circa il 75% degli IMI (il 79%, secondo una fonte del Partito fascista repubblicano) rifiutò di sottoscrivere il documento, che pure poteva migliorare di molto la qualità della loro vita. Quindi l’Alto Comando germanico il 4 settembre fu obbligato a rinunciare alla firma dell’impegno richiesto. Di conseguenza tutti gli IMI vennero d’imperio dichiarati “liberi lavoratori civili”.
Quel 4 settembre 1944, Hitler, l’OKW, Mussolini e il Terzo Reich vennero silenziosamente sconfitti da quell’esercito di schiavi che essi, con la complicità del re e di Badoglio, avevano trascinato in catene nei Lager tedeschi.
La situazione migliorò: i soldati avevano una piccola paga in marchi da spendere nei villaggi, potevano stare fuori dai Lager fino al coprifuoco, ebbero un vitto più sostanzioso.
Durò poco, però: agli inizi del ’45 la situazione in Germania divenne catastrofica: bombardamenti, evacuazioni dai Lager. La Gestapo divenne responsabile della disciplina, e bastava un furto per essere fucilati.
Le strutture degli Oflag, i Lager degli ufficiali, non erano molto diverse da quelle degli Stalag dei soldati; però, sia nel Governatorato Generale che nel Reich, dove furono trasferiti nella primavera ’44, c’era meno rischio di bombardamenti, un po’ più di lettere e pacchi, almeno per quelli che risiedevano nel nord Italia. Ed ebbero anche assistenza religiosa, e poterono organizzare alcune iniziative culturali. Tuttavia le lunghe giornate di inattività, li logoravano forse anche peggio del lavoro, provocando tensioni e depressioni. Non furono costretti a lavorare, almeno fino al gennaio 1945, quando le SS ordinarono di avviare al lavoro tutti gli ufficiali con meno di 60 anni; esentati solo i generali, i cappellani militari, i medici e i malati cronici.
Il 2 febbraio del ‘45, Graziani, rendendosi complice di questa violazione del diritto internazionale, redasse l’ordine di congedo sotto forma di appello all’onore e alla coscienza nazionale, in modo che gli ufficiali, non più in servizio, formalmente potevano diventare lavoratori civili. Questi ordini furono applicati negli Oflag di Wietzendorf e Sandbostel; comunque il 16 marzo del ’45 Himmler ritrattò l’ordine.
Ci si avviava verso la conclusione della guerra nella più grande confusione e gli IMI furono spesso oggetto di violenze, anche da parte della popolazione civile: vittime dell’odio popolare e dell’invidia sociale per i presunti vantaggi che godevano.
Negli ultimi mesi, il peggioramento fu drammatico anche per gli ufficiali, continuava la riduzione delle razioni alimentari. Poi si aggiunsero le evacuazioni e la chiusura di molti Lager all’interno della Germania: il che significava logoranti marce a piedi; lunghe file di prigionieri che vagano senza meta. Aumentò anche la violenza verso i prigionieri. La Gestapo era autorizzata a uccidere chi sabotava, rubava o tentava di fuggire. Anche la popolazione civile si diede a eccessi che costarono la vita a migliaia di prigionieri.
Alessandra Borsetti Venier
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