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Alessandro Gallucci. Finanziamento pubblico ai partiti. Effetti collaterali indesiderati ma prevedibili
21 Gennaio 2011
 

I fatti di questi giorni portano nuovamente alla luce una stortura del sistema politico del nostro Paese. In Italia -è cosa nota, verrebbe da dire- lo Stato di diritto è temperato dal principio non scritto “fatta la legge, trovato l’inganno”. E così, dopo ben due referendum che ne sancivano l’eliminazione, il finanziamento pubblico ai partiti è tornato sotto le mentite spoglie di rimborso elettorale. Una lauta remunerazione che la partitocrazia s’è assegnata (per ogni legislatura ed al di là della sua durata) per sopravvivere e mantenere inalterato l’attuale sistema di potere. Un ginepraio tipico del nostro Paese i cui frutti sono i disastri politici ai quali ogni giorno il cittadino -suddito, disarmato e disamorato- è costretto ad assistere. Che cosa accadrebbe se tutto fosse come dovrebbe, se tutto fosse come già accade, per esempio, negli Stati Uniti? Probabilmente, se i partiti dovessero cercare il proprio sostentamento direttamente presso l’elettorato, si sentirebbe parlare di abolizione del canone rai, di eliminazione del finanziamento all’editoria, di maggiore libertà d’espressione e di libertà di scelta per le cure e per il fine vita. In sintesi la politica sarebbe costretta, gioco forza, a tornare ad occuparsi dei temi che le persone hanno più a cuore, del vivere quotidiano e non delle dispute sul pene delle statue di palazzo Chigi. Non ci si lasci ingannare dalla stanca retorica della necessità del finanziamento pubblico come possibilità per tutti di avere rappresentanza politica, che, altrimenti, resterebbe a favore della solite lobby di potere. È vero, nessuno nega che rischi in tal senso possano esserci. La soluzione, tuttavia, non sta nel consentire il procrastinarsi di rimedi chiaramente surrettizi, che recidono alla base il collegamento diretto tra rappresentanti e rappresentati, ma dovrebbe risiedere in un insieme di regole certe la cui osservanza funga di per sé da garanzia di partecipazione per tutti.

Forse la campagna elettorale del tanto osannato presidente Usa Obama non dimostra il contrario? Il cittadino, in questo modo, tornerebbe ad essere titolare di diritti e doveri e non vassallo del potente di turno. Il meccanismo perverso si trasformerebbe in circolo virtuoso, ciò perché chiunque volesse proporsi come guida politica, tanto a livello nazionale, quanto a livello amministrativo, prima d’ogni cosa dovrebbe andare a confrontarsi con chi esercita il diritto di voto e non, come accade oggi, preoccuparsi principalmente d’entrare nelle grazie della casta di burocrati che s’aggirano nelle segreterie dei partiti. Lì l’interesse è quello di cristallizzare lo status quo, passando sopra ogni regola e quindi infierendo senza ritegno sul principio di legalità, se ciò è funzionale allo scopo prefissato. Come leggere, altrimenti, la corsa frenetica all’occupazione delle poltrone che s’apre ogni qualvolta c’è da nominare un membro o il presidente di un’Autorità Garante? Che significato dare alla costante violazione delle leggi elettorali (dal reiterato imbrattamento causato dalle affissioni abusive alle sistematica violazione delle norme relative alla raccolta delle firme per la presentazione delle liste)?

Nel frattempo il distacco tra esigenze della vita reale e priorità della discussione politica aumentano a sempre di più. Il tutto è ben edulcorato da un ricorso costante a finte ideologie il cui unico obiettivo pare quello di vietare e negare diritti piuttosto che orientare scelte personali in un vasto orizzonte di possibilità di scelta. Un cambiamento radicale dell’attuale sistema farebbe sì che -per usare un termine di gran moda- l’agenda politica dovrebbe necessariamente tornare a guardare ai bisogni reali. Diversamente si perderebbero la fiducia ed il sostegno dei cittadini. Probabilmente le feste nelle segrete dei palazzi dei signori di turno continuerebbero ad esserci ma quegli stessi signori si batterebbero per concedere maggiore libertà a tutti quanti, non potendo più farsi scudo con slogan ed azioni tipiche dell’età puritana: non avrebbero sostegno e soldi per farlo.

In questo tripudio di “condizionali”, sarebbe auspicabile, quindi, il ripristino della normalità con l’abolizione immediata del rimborso elettorale.

 

Alessandro Gallucci, legale Aduc


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