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1868: Dostoevskij a Milano 
di Mauro Raimondi
18 Gennaio 2011
 

Delitto e castigo, L’idiota, I demoni: tutti conoscono Dostoevskij. Ciononostante, pochissimi milanesi amanti della buona letteratura sanno che il grande scrittore russo ha abitato nella loro città.

Lo ammetto: anch’io lo ignoravo. È stato per merito di Franco Loi se l’ho saputo. Un giorno lui mi disse di avere sfogliato un libro in cui si trovavano delle lettere di Dostoevskij su Milano, e a quel punto, visto che stavo proprio scrivendo un saggio sulle testimonianze dei viaggiatori stranieri in città, non potevo esimermi dal cercarlo.

Fu la Biblioteca Sormani, a salvarmi. Perché quando, dopo aver spulciato moltissimi testi, stavo ormai per rassegnarmi, fu lì che lo scovai. E in un polveroso tomo addirittura escluso dal prestito (Dostoevskij, Epistolario, vol. II, trad. E. Lo Gatto, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1951), mi imbattei nelle sue parole su e da Milano. Scoprendo che, al contrario dei tanti “mostri sacri” brevemente transitati sotto la Madonnina, lui ci aveva addirittura vissuto nel periodo compreso tra l’ottobre e il novembre 1868.

In quale luogo, purtroppo, rimane un mistero (ma sicuramente la casa sarà andata distrutta dalle bombe o dalla follia edificatrice della Milano degli ultimi due secoli). Mentre, al contrario, ci appare chiarissimo l’umore del Dostoevskij “milanese”. Un umore decisamente tendente al nero, come si evince dalle lettere dirette ad Apollon Nikolàevic Màjkov, un carissimo amico con cui lo scrittore intratteneva uno scambio epistolare, tanto da invitarlo a rispondergli in Italie, Milan, à mr Dostoevskij poste restante.

«Due mesi fa attraverso il Sempione ci siamo trasferiti a Milano. Qui il clima è migliore, la vita più cara, piove molto e per di più ci annoiamo mortalmente»: così, infatti, recita una lettera in cui lo scrittore confessava all’amico l’isolamento che lo angosciava, la mancanza di quella Russia da cui era partito da più di un anno e mezzo. Ma, soprattutto, la morte della figlia nata da pochi mesi, avvenuta nel maggio precedente: «Anna Grigòr’Evna è paziente, tutti e due piangiamo Sonia. Viviamo tristemente, come se fossimo in monastero… La vita qui mi è diventata troppo pesante. Non ho letto niente di russo, né un libro, né un giornale, già da sei mesi. E poi l’assoluta solitudine».

Una riflessione che non può non far stringere il cuore a tutti quelli che hanno amato o amano Dosto, immaginandoselo addolorato e solo, con la moglie triste, in una piovosa città autunnale che probabilmente gli sarà sembrata ostile. A vivere in mezzo a gente di cui non capiva la lingua, in una casa probabilmente squallida. Perché, come se tutti questi problemi non fossero bastati, un altro, quasi sempre presente nella vita di Dostoevskij, opprimeva lo scrittore: «Dio sa cosa abbiamo in prospettiva. Se almeno avessi finito il romanzo, sarei più libero. Tornare in Russia? È difficile persino pensarlo. Siamo del tutto senza mezzi».

Già, mentre abitava in città Dostoevskij stava scrivendo “L’idiota”. Il che, sinceramente, mi dà un certo (forse insensato) piacere, perché è come se in quelle pagine sia rimasta un po’ della Milano di quel tempo... Tuttavia la stesura non era ancora completata e nell’attesa i tanto sospirati soldi non arrivavano, costringendo lo scrittore nell’abituale miseria e in uno «stato morale cattivo», come lui stesso ammetteva all’amico.

Insomma, spiace dirlo, ma nella tormentata vita di Dostoevskij Milano ha rappresentato una breve ma sofferta parentesi. La qual cosa, probabilmente, gli impedì di trovare la voglia di accennare ai monumenti della città, di descriverne vita e personaggi. Anzi, pure un altro accenno è negativo: «Neanche a Milano è possibile restare: troppo scomoda la vita e troppo cupa».

Cupa: così fu l’esistenza, a Milano, dell’immortale scrittore.

Il quale, poco prima dell’inizio dell’inverno, decise di spostarsi in Toscana. Dove, almeno climaticamente, avrebbe trovato un po’ di sollievo: «Meno male che a Firenze fa caldo, sia pure un caldo umido. A Milano non sapevo, stando in casa, in che cosa avvolgermi».

E questo è l’ultimo riferimento epistolare alla nostra città. Nella quale dubitiamo che fece mai più ritorno. Ma per chi vuole approfondire l’argomento, allargandolo alla presenza dei tanti scrittori russi passati in Italia, vi rimandiamo a Russi in Italia di Ettore Lo Gatto. Una lettura che, almeno in parte, speriamo possa rincuorare chi vive e lavora nella nostra città ma è attanagliato dalla nostalghia per la “madre Russia”.

Saludi.


 
 
 
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