È ancora un adolescente timido e corpulento di soli quattordici anni quando, nel 1904, in compagnia dei genitori, Franz Werfel assiste all’opera Rigoletto di Verdi a Praga, sua città natale. Quest’esperienza segna il futuro scrittore per il resto della vita. La musica di Verdi, interpretata dal tenore Enrico Caruso, scatena nel ragazzo una passione alla quale non riuscirà mai più a sottrarsi e che lo spingerà a vedere nel compositore di Busseto e nelle sue opere il portavoce di una melodiosità e spontaneità meridionali da opporre a tutto quanto è tedesco, ossia – nell’accezione di Werfel - freddo, disarmonico e cerebrale.
Il contatto di Werfel con l’Italia è dunque mediato dal melodramma e dal bel canto: la musica di Verdi diventa per lui quasi in una mania. Werfel acquista i dischi del maestro italiano, ne impara a memoria un’aria dopo l’altra e, visto che suona il piano ed è anche dotato di una bella voce tenorile, quando si incontra con gli amici si esibisce in dilettantesche esecuzioni canore che gli valgono ben presto il soprannome di Caruso.
Nonostante i suoi amici lo deridano per il fuoco sacro che lo infiamma, Werfel sviluppa un vero culto per Verdi e fa di tutto per promuovere la sua musica nel mondo di lingua tedesca. La massima espressione del suo amore per il musicista italiano è, nel 1924, la cospicua opera narrativa Verdi, che riscuote subito un successo enorme. Il complesso romanzo è insieme il ritratto di un artista anziano in preda a una crisi creativa e uno spaccato delle delusioni politiche del liberalismo europeo del tardo Ottocento. Alla spontaneità della melodiosa musica di Verdi, Werfel contrappone qui l’astrattezza di Wagner, iniziatore di quella distruzione dell’armonia che culmina nei suoni stridenti della dodecafonia.
Quasi involontariamente il testo diventa così anche un inno all’Italia, terra della naturalezza agli antipodi del cerebrale spirito tedesco, caratterizzato da gelo interiore e da un bisogno normativo che nella sua asfittica perfezione diventa mortale.
Il romanzo su Verdi è ambientato a Venezia. Il vecchio Verdi, paralizzato nel proprio estro artistico ormai da un decennio per una sorta di complesso di inferiorità nei confronti di Wagner, decide di far visita al suo avversario proprio nel giorno in cui il musicista tedesco muore. Il decesso di Wagner segna per Verdi una sorta di resurrezione, un ritorno improvviso d’ispirazione che gli permette la stesura del suo capolavoro senile: Otello.
A Venezia, a partire dagli anni venti, Werfel soggiorna con regolarità e il romanzo su Verdi, che si apre nella notte di Natale del 1882, è anche un omaggio a questa città stupenda e seducente, dove Werfel lavora volentieri. C’è però anche una regione italiana che favorisce la sua creatività: la Liguria. A Santa Margherita Werfel scrive alcune delle sue opere in prosa più note, fra cui il romanzo Anniversario dell’esame di maturità, dove lo scrittore denuncia la violenza manifesta o subdola di una sistema scolastico severo e repressivo. Il romanzo è giocato sull’opposizione fra due allievi di un ginnasio di provincia, il geniale ebreo Franz Adler e il sadico cristiano Ernst Sebastian che ha la meglio sull’avversario grazie alla sua prepotenza e alla sua mendacità.
I soggiorni in riviera diventano per Werfel occasione per numerose escursioni a Genova, dove frequenta quasi quotidianamente il teatro dell’opera.
L’Italia, insomma, è un luogo che stimola la fantasia dello scrittore e gli permette di coltivare la sua passione per la musica lirica italiana. Durante un soggiorno a Santa Margherita nel 1929 Werfel trova spunto per un altro suo romanzo d’ambientazione italiana: I fratelli napoletani. L’idea gli viene dal racconto della propria vita di una signora di Napoli che, grazie al suo matrimonio con un abbiente Inglese, è riuscita a salvare la propria famiglia del disastro economico. Al centro della narrazione c’è una tipica famiglia numerosa del sud, composta da un padre e da sei figli – tre fratelli e altrettante sorelle – che vive a Napoli in piena era fascista.
Tradizionalista e dispotico, Don Domenico Pascarella, proprietario di un piccolo istituto di cambio, rimasto vedovo, impone ai suoi figli una vita regolamentata da leggi ferree, ritmata su una serie di abitudini e rituali dettati da una pedagogia repressiva. Solo per l’apertura della stagione lirica del Teatro S. Carlo Don Domenico si concede ogni anno il lusso di assistere alla prima insieme alle figlie. È in quell’occasione che un gentiluomo inglese si invaghisce di Grazia, che, ricambiando il suo amore, trova il coraggio di sfuggire alla tutela paterna. Da quel momento gli affari del padre, che si sente oltraggiato e tradito, vanno male, tanto che la famiglia è presto ridotto in miseria. I tre figli scelgono la via dell’emigrazione e partono per il Brasile, dove uno di loro torva la morte, mentre le sorelle devono ridimensionare radicalmente il loro stile di vita. La situazione sembra precipitare verso la tragedia, quando Don Domenico, accusato dal regime fascista di aver occultato i documenti che dimostrano il fallimento della sua banca, finisce in carcere. Ma il fidanzato inglese di Grazia riesce a far liberare Don Domenico, poi investe il proprio capitale nell’azienda dei Pascarella sollevandone le sorti, e infine corona il proprio sogno d’amore sposando la propria innamorata.
Il libro, che esce nel 1931 trova subito grande apprezzamento presso i lettori, nonostante Werfel qui scivoli spesso nel banale. Anche in questo secondo romanzo italiano di Werfel la musica ha un ruolo fondamentale. La storia si apre e si chiude evocando la Gioconda di Amilcare Ponchielli e tutti i componenti della famiglia Pascarella sembrano pensati come ruoli vocali per un’opera lirica: il padre severo un basso, i figli e l’innamorato di Grazia tenori, la futura sposa soprano e così via. Anche in questo caso, come nel romanzo su Verdi, l’immagine che Werfel offre del nostro paese non è priva di cliché. L’Italia è la terra dell’edonismo immediato, della buona tavola, della calda passionalità, del culto sacrale del focolare domestico. Soprattutto però è il paese della musica, che in casa Pascarella tutti amano ed esercitano anche con regolarità, in forma di canto, di poesia, di dedizione a uno strumento.
Insomma: quello che più attrae Werfel in Italia è sempre il teatro d’opera, dove gli sembra trionfare un’energia positiva che è impossibile percepire nel mondo in cui si parla tedesco. Le posizioni politiche di Werfel, che in gioventù era stato un progressista e aveva guardato con speranza alla rivoluzione bolscevica, hanno nel frattempo subito una radicale revisione sotto l’influsso della moglie, Alma Mahler. Anche per questo dal romanzo ambientato nella Napoli del 1924, nell’anno cruciale del delitto Matteotti, traspare assai poco dell’oppressivo clima politico vigente in quel periodo in Italia. Nel romanzo Napoli e l’Italia sono soltanto un pretesto, il fondale di cartapesta per una vicenda il cui tema centrale resta il conflitto privato fra generazioni. Per Werfel Italia è sinonimo di melodramma; è spesso anche a Milano, che per lui è soprattutto la città della Scala, dove alloggia volentieri al Grand Hotel, nelle stesse stanze in cui aveva abitato Verdi. Idealista convinto, insensatamente fiducioso in un possibile arresto della furia nazista, Werfel si rende finalmente conto nel 1935 della gravità della situazione politica internazionale, anche perché viaggia molto. Durante il suo ultimo soggiorno in Italia, in particolare a Capri all’inizio del 1938, la situazione in Austria precipita. Lo scrittore capisce che la minaccia di vedere di lì a poco il proprio paese d’elezione nelle mani di Hitler è sempre più impellente, e in effetti il dittatore tedesco fa il suo ingresso trionfale a Vienna il 15 marzo. Neppure l’Italia, dove sono state ormai introdotte le leggi razziali, non à più sicura per un ebreo. Werfel è costretto a emigrare. La sua partenza dall’Italia è l’inizio di una lunga peregrinazione che, attraverso l’Europa, lo porta negli Stati Uniti, dove, malato di cuore, lo scrittore si spegne il 26 agosto del 1945 a Beverly Hills.
Gabriella Rovagnati