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Rosangela Pesenti. I muscoli del padrone
11 Gennaio 2011
 

L’informazione è diventata il nostro blob quotidiano, in cui soffoca il pensiero, e le notizie che si susseguono senza nessi visibili sembrano scivolare sulla patina dell’indifferenza senza lasciare traccia.

 

Parto dal TG3 Lombardia che fornisce, insieme alla notizia, una brevissima coda di commento che vi s’incorpora, passando inosservato.

Un benzinaio aggredito decide di tornare comunque al suo lavoro rifiutandosi di acquistare un’arma.

Che c’entra? Perché mai dovrebbe acquistare un’arma? Dove sta la notizia?

È come se, vista l’escalation del femminicidio, (soprattutto in Lombardia) ogni donna che inizia una relazione con un uomo dovesse comprare anche una pistola.

Messa così appare un paradosso, ma solo perché il soggetto è una donna, mentre il commento alla notizia afferma, nemmeno tanto implicitamente, che le armi sono connaturate agli uomini i quali perciò rifiutando di portarle contravvengono ad un profondo carattere identitario della virilità.

Un semplice innesco, direbbe Bourdieu, di quel dispositivo di costruzione dell’identità sociale maschile rispetto al quale gli uomini testimoniano solitamente complicità, esibendo un vero e proprio sostegno alla filosofia del dominio maschile espresso dal macho buzzurro o nella forma, più elegante, dell’imbarazzo di un galantuomo paternalista.

Allo stesso modo non viene colto, nell’arroganza di Marchionne, l’intrinseco infantilismo che è proprio dei comportamenti con cui costruisce la propria immagine qualsiasi maschio dominante che mente sapendo di mentire perché su questa sua menzogna, recitata con tutti gli attributi, anche fisici e gestuali, della lunga tradizione maschile, si fonda il suo potere.

Esibisce, senza nemmeno l’ipocrisia del pudore (che sarebbe almeno un omaggio alla virtù rappresentata per noi dai diritti di cittadinanza) un ricatto al quale la massa, tradizionalmente pensata come femminile e “docile” già da Kant, dovrebbe sottostare.

In questa partita non è in gioco solo il contratto dei lavoratori e lavoratrici FIAT e nemmeno la pure fondamentale tenuta dei diritti costituzionali, ma qualcosa di ben più profondo che, aggredito da varie parti, concorre ad un ritorno indietro antropologico nella percezione di sé di ogni individuo, uomini e donne, ricollocati, gli uni e le altre, nella scala di una gerarchia sociale fondata sul sesso e sulla classe in un intreccio perverso che riporta in cima alla piramide il peggio del dominio maschile.

In alto c’è lui, autocostruitosi anche nella fisiognomica, con l’espressione pacatamente sprezzante di chi vive nella convinta sicurezza del privilegio, rinnovata versione dell’uomo che non deve chiedere mai perché si è fatto da sé, dopo lo sbracamento politico del re travicello che ha imbrogliato per vent’anni il Paese.

In basso c’è la massa appunto, chiamata a recitare la farsa di un voto al quale lui si arroga il potere di togliere validità di reale opzione. In basso uomini e donne in cui la TV pesca a caso qualche volto perché non fa audience il tempo richiesto per far sentire le ragioni di tutti.

Nei commenti su quei volti entra la parola famiglia, come richiamo alla responsabilità di abbassare la testa perché le sorti dei figli dipendono dai genitori.

 

Ed ecco l’altro elemento che si diffonde come un veleno: il richiamo alla famiglia come ingiunzione a pensare per sé e non per gli altri, la libertà come dominio dei genitori sui figli, ossimoro esibito, senza prudenza in questo caso, da quel Benedetto che più di tutti dovrebbe testimoniare l’esercizio delle virtù cardinali, la libertà di chinare la testa di fronte al ricatto del padrone perché i figli di cui sei proprietario sono un bene privato che nessun altro tutela.

Così al fondo della scala, sociale e delle notizie, c’è un neonato morto di freddo in strada perché la sua famiglia non ha casa, un neonato a cui nessuno ha riconosciuto il diritto di vivere perché vengono erosi ogni giorno i diritti di cittadinanza, un neonato la cui morte viene imputata alla negligenza dei genitori o agli operatori dei servizi sociali, considerati un peso per l’economia dello Stato, e non ad una società che sostituisce la parola uguaglianza con il merito per legittimare la ferocia con cui pochi si appropriano delle risorse a danno di tutti.

Dimmi di che famiglia sei e ti dirò se e come vivrai: questa è la legge dei padroni, si chiamino Marchionne o Benedetto XVI.

 

Rosangela Pesenti


 
 
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