La società in ogni sua forma è una benedizione, ma il governo nella sua forma migliore non è che un male necessario e nella sua forma peggiore è intollerabile; perché quando un governo ci fa patire o ci impone le stesse miserie che potremmo aspettarci se vivessimo in un Paese senza governo, la nostra disgrazia è accentuata dal pensiero che siamo noi a fornire gli strumenti di quanto ci fa soffrire. Il governo, come l'abito, è lo stemma dell'innocenza perduta: i palazzi dei regnanti sono costruiti sulle rovine delle umili dimore del paradiso.
Non l'ho scritto io, ma chi l'ha scritto mi ha donato una riflessione che accolgo e raccolgo appieno e nel profondo. Mettiamo allora le giuste virgolette all'incipit e alla fine e rileggiamo: «La società in ogni sua forma è una benedizione, ma il governo nella sua forma migliore non è che un male necessario e nella sua forma peggiore è intollerabile; perché quando un governo ci fa patire o ci impone le stesse miserie che potremmo aspettarci se vivessimo in un Paese senza governo, la nostra disgrazia è accentuata dal pensiero che siamo noi a fornire gli strumenti di quanto ci fa soffrire. Il governo, come l'abito, è lo stemma dell'innocenza perduta: i palazzi dei regnanti sono costruiti sulle rovine delle umili dimore del paradiso».
Opera di Thomas Paine (1737-1809), da Common Sense (Senso comune), 1776. Uno per il quale la sua nazione era il mondo e la religione il far bene (non intesa dunque come instrumentum regni). Uno che credeva ai naturali diritti di eguaglianza degli esseri umani e alla possibilità della felicità in questa vita. Un idealista. Un intellettuale. Un utopista.
(Utopisti... testa fra le nuvole? Forse, in quanto capaci di ergersi e sognare pur avendo i piedi, alias radici, saldamente al suolo. Pare che in questo mondo dominato dai pragmatici le cose non vadano così bene, come ci spacciano i mezzi di distrazione di massa dei governanti – o sgovernanti? – che controllano anche i mezzi di distruzione di massa. E poi pensiamo alla forza, concretissima, di utopisti nonviolenti quali Gandhi e Martin Luther King...).
Ma torniamo alla frase e al concetto sopraccitati. Rileggete e imprimete tutto nella memoria e nel cuore. Badate a quanto quelle parole siano dal punto di vista filosofico attuali, dall'incipit – «La società in ogni sua forma è una benedizione» –, quindi nessun nichilismo bensì la miglior pars construens, alla proposizione... «quando un governo ci fa patire o ci impone le stesse miserie che potremmo aspettarci se vivessimo in un Paese senza governo, la nostra disgrazia è accentuata dal pensiero che siamo noi a fornire gli strumenti di quanto ci fa soffrire».
Non vi ci ravvisate? Oggi, come italiani. O come europei. O come cittadini del vasto globo sfruttato nelle risorse e di esse depauperato e con masse d'indigenti e disperati più che mai, come mai nella storia umana.
«I palazzi dei regnanti sono costruiti sulle rovine delle umili dimore del paradiso»... Un'immagine poetica e, nel contempo, strettamente aderente alla realtà dei fatti.
Duecentoventicinque anni fa un uomo libero, spinto dall'amore verso i suoi simili, un politico (in senso lato e nel significato più nobile del termine, come l'etimo richiederebbe e dovrebbe suggerire alla nostra classe, ehm ehm..., dirigenziale), una persona intrisa di genuina fede – Giustizia-Misericordia-Felicità, la bella triade –, riusciva a formulare questo pensiero. Che abbiamo da allora fatto qualche passo indietro, anche con le nostre responsabilità individuali, nella speculazione filosofica e sociale e negli intenti delle magnifiche e progressive sorti?
Lo squallido teatrino della nostra politica, della politica nostrana, e dell'economia e della finanza mondiale, triste e tristo avanspettacolo di cui paghiamo tragiche conseguenze ogni giorno, parrebbe confermarlo. Non è qualunquismo. Anzi, tutto il suo contrario. Ricordate... «I palazzi dei regnanti sono costruiti sulle rovine delle umili dimore del paradiso». Meditate, gente, meditate...
Alberto Figliolia