Da queste pagine (l'articolo è tratto da Libertiamo.it, ndr), oggi, avremmo voluto celebrare il novantesimo anniversario della nascita di Leonardo Sciascia. Abbiamo deciso, però, di dare priorità ad una notizia che d’altra parte non avremmo mai voluto dover diffondere, una notizia triste: la morte di Paolo Pietrosanti.
Questo nome non dirà probabilmente nulla ai più; una breve ricerca su Internet, però, rivela un curriculum politico e personale ben più ricco di quello di tanti altri personaggi di maggiore fama.
Un politico, ed un politico radicale, in tutti i sensi: questo era Paolo Pietrosanti.
Nato nel 1960, è entrato giovanissimo nei Radicali e con loro ha condiviso, spesso guidato molte battaglie storiche di libertà. Incarnava quasi perfettamente lo stereotipo “pannelliano” del radicale scassapalle (rompiscatole? No, proprio scassapalle), del militante che si fa arrestare, che parla molto ed enfaticamente, che sa tutto di tutto, che prende a cuore battaglie apparentemente di nicchia e riesce a dar loro il rilievo che meritano. Era uno di quei radicali che parlano tanto ma fanno altrettanto, uno di quelli finiti in galera, in Italia e nella Polonia della dittatura comunista, per l’obiezione di coscienza.
Non era insomma un rivoluzionario da salotto, ma un vero esperto, teorico e pratico, dei princìpi della nonviolenza e della disobbedienza civile, uno che non si è mai fatto problemi a passare dalla raccolta di firme per strada agli incontri con capi di stato e altre personalità internazionali, dalle carceri polacche ai colloqui a Praga (città dove visse tra gli anni ’80 e i ’90, nei difficili ma effervescenti anni della transizione) con Václav Havel, Alexander Dubček, Jiří Hájek e Petr Uhl.
Serio e faceto, nella sua vita e nella sua militanza, si sono sempre mescolati naturalmente, senza quasi che si notasse il passaggio dall’uno all’altro; il titolo dell’articolo vuole rievocare appunto uno dei tanti episodi insoliti che hanno costellato la storia di questo politico abbastanza fenomenale. Nel giugno del 1988 infatti Pietrosanti, insieme ad altri due Radicali, dichiarò che avrebbe fatto piovere sulla sfilata militare ai Fori Imperiali: ebbene, che il Nostro avesse dato il tormento al Padreterno finché non è stato esaudito, che avesse trovato il segreto per sfruttare le scie chimiche, che il governo di allora fosse particolarmente ladro, non si è ancora capito, ma fatto sta che quella mattina piovve davvero. (certo, sentirlo raccontare da lui era un’altra cosa: “Venne giù tanta, ma tanta, ma tanta di quell’acqua…”)
Paolo Pietrosanti era cieco: lo era diventato nei primi anni ’90, a causa della stessa malattia per cui ieri si è spento. Da questa sua condizione, lungi dal farsi cristallizzare nel personaggio, da lui disprezzato quant’altri mai, de “il disabile, poverino”, ha promosso numerose iniziative politiche per l’accessibilità ai disabili della cultura e dei servizi: accanito lettore e “navigatore” di Internet, sempre aggiornato sulle ultime tecnologie, è stato spesso citato nel sito Punto Informatico. Le sue battaglie sul diritto d’autore e sulla digitalizzazione di massa delle opere librarie, pur non molto conosciute dal grande pubblico, sono citate e portate ad esempio sia da quelli che sono esperti del settore per lavoro, sia da chi invece, volente o nolente, è dovuto per forza diventare esperto, proprio perché cieco.
Ma l’impegno di Pietrosanti non è circoscritto ai campi finora citati; altra questione in cui era molto addentro era quella del popolo Rom, da lui considerato e trattato in maniera del tutto differente rispetto, diciamo così, al mainstream sull’argomento, con una serietà che la maggior parte dei politici nostrani non sarebbe capace, non diciamo di praticare, ma nemmeno di concepire.
Ha studiato molto il trasporto pubblico locale, ha battuto J.K. Rowling (sì, proprio la scrittrice di Harry Potter) in tribunale sul diritto d’autore, ha parlato di e-book e di Skype quando erano ancora quasi fantascienza, ha fatto e detto tante cose che leader e militanti della sinistra “ufficiale” italiana non sono ancora arrivati neanche a immaginare.
Come ogni radicale che si rispetti, ha litigato qualche anno fa col suo partito (o sarebbe meglio dire che il partito ha litigato con lui, anche parecchio duramente?); negli ultimi tempi, nondimeno, era tornato alla politica attiva, candidato per le elezioni politiche del 2008 e poi per le regionali del 2010 nel Lazio. Nella paginetta del sito Lista Bonino Pannella in cui si presenta conclude: “Ho ancora molto da fare”.
Da fare c’è ancora, è vero, e molto; il “fare” di Paolo Pietrosanti, però, purtroppo, si è concluso ieri, 7 gennaio 2011, giorno in cui si è spenta per sempre la sua pienissima ed appassionata esistenza.
In noi che siamo ancora qui resta la consapevolezza di aver conosciuto un uomo incredibile, e di volerlo ricordare attraverso le sue idee e le sue battaglie.
Restano però anche il dolore, l’amarezza, la rabbia di averlo visto a volte dimenticato perfino dentro il suo stesso partito, pressoché totalmente ignorato fuori da quel partito, ignorato lui, la sua storia eccezionale, la sua intelligenza, la sua grande competenza su tanti argomenti.
Ben altri sono i politici che questo Paese prende a modello, ben altri sono i personaggi esaltati a destra e a sinistra come persone esperte, competenti, preparate, intelligenti, che “ah, come parlano loro…” ; sospettiamo che davanti a un Pietrosanti sarebbero rimasti quasi tutti a boccheggiare, senza sapere che rispondergli, ma la certezza non la potremo avere mai, perché le sue idee e la sua storia, già misconosciute lui vivo, ora spariranno definitivamente nell’infinito mare della superficialità e dell’ignoranza, che si alza sempre di più a sommergere il dibattito politico in questo sciagurato Paese.
Benvenuti, signori, a bordo dell’Italia del terzo millennio, dove “scrittore” è Federico Moccia, “liberale” è Silvio Berlusconi e “radicale nonviolento” è Nicola Vendola. Slacciate pure le cinture, tanto non andiamo da nessuna parte.
Marianna Mascioletti
(da Libertiamo.it, 8 gennaio 2011)