Mariano Sabatini
L’Italia s’è mesta
Dall’unità nazionale a Silvio Berlusconi il Belpaese visto dai corrispondenti stranieri
Giulio Perrone Editore, pagg. 172, € 11,00
Ormai è assodato: a Mariano Sabatini, giornalista professionista e scrittore, piacciono le testimonianze corali. Infatti, dopo aver raccolto le voci di alcuni scrittori italiani che rivelano i loro segreti letterari (Trucchi d’autore, Nutrimenti, 2005) e aver raccontato la gavetta di alcuni giornalisti poi diventati famosi (Ci metto la firma!, Aliberti, 2009), ora Sabatini sonda i pareri dei corrispondenti esteri sulla nostra nazione e, buttando al macero la vecchia regola giornalistica che vuole “i fatti separati dalle opinioni”, ci offre proprio quest’ultime facendo parlare chi nel Belpaese ci vive, ci lavora, ma Italiano non è.
Il titolo L’Italia s’è mesta, è la perfetta parafrasi del nostro inno nazionale: ma dobbiamo essere mesti e tristi per come stanno andando le cose o possiamo permetterci di “ridestarci”? Sabatini non mette il punto interrogativo, ma a dare una risposta al quesito “da debito pubblico” ci provano i giornalisti dei cinque continenti, affrontando tematiche d’attualità molto sentite da noi Italiani: sfatare il mito del Belpaese fatto di “mamma, mafia, maccheroni e mandolino”, Silvio Berlusconi e la democrazia in pericolo, il ruolo della sinistra, “il compagno Fini” (Sabatini Cassandra?), i rapporti con il Vaticano e quanto questo condizioni le scelte del nostro Paese, la questione femminile e gli scandali sessuali, il razzismo; trasversalmente vengono anche analizzati i giornalisti (meritocrazia=miraggio, nepotismo=certezza Wolfgang Achtner), il ruolo dei giornali italiani (è l’editore che comanda, bellezza!), il confronto tra stampa estera e italiana nel trattare le questioni politiche con richiami espliciti alla famosa “libertà di stampa” nell’era Berlusconi. Il paragone con i politici e il Paese di provenienza appare in tutti gli interventi dei cronisti (molto interessante l’analisi Berlusconi/Sarkozy di Marcelle Padovani per Nouvel Observateur) mentre un esame dei nostri mali civili, sociali e politici con tentativo di spiegazione incorporata del “perché siamo così?” rifacendosi ai secoli di storia italiana, pervade tutta l’opera.
Ma uno dei meriti del libro, è sicuramente la ricerca di imparzialità nella scomposizione del Belpaese, cosa per noi Italiani impossibile tanto siamo legati a Campanili e Partigianerie: forse soltanto chi per scelta professionale ha avuto il privilegio di vedere e vivere tante realtà diverse, come accaduto ai cronisti esteri, può arrivare dove noi non riusciamo. E se Sabatini si diverte a infrangere la vetusta regola giornalistica “i fatti separati dalle opinioni”, attraverso i corrispondenti delle maggiori testate estere ricompone una delle tante regole giornalistiche, quella di “mettere la giusta distanza”, regola ultimamente dimenticata da buona parte della stampa italiana.
Infine, il capitolo di chiusura “Io resto e voi?” che ammicca generosamente alla trasmissione di Fazio “Vieni via con me”: con un nutrito elenco di “tanti galantuomini” che con il loro pensiero e la loro azione hanno fatto grande l’Italia, Sabatini si propone di restare nel Belpaese perché, come scrisse Montanelli nel 1950 sul Corriere della Sera “Non è vero che la patria si difende senza discutere; la si difende discutendola, così come è discutendo la nostra società borghese e denunziandone noi stessi i difetti e le debolezze che la si puntella”. Ma forse la si difende anche rimanendo e combattendo.
Simona Borgatti