La riorganizzazione lavorativa cubana che porterà entro il mese di aprile al licenziamento di 500.000 lavoratori statali è appena iniziata e già serpeggiano le prime polemiche negli ambienti della dissidenza e della società civile. Molti affermano che il governo dei fratelli Castro sarà messo in difficoltà dal suo stesso provvedimento.
«Credo che in questo momento le sensazioni più diffuse siano il timore, l’apprensione e il panico», ha detto Yoani Sánchez. «Ma è anche vero che le persone liberate dal monopolio di Stato potranno far confluire energia e talento in altre occupazioni e che guadagneranno autonomia sociale e politica».
Nei prossimi tre anni si attende che la riduzione delle piante organiche statali interessi circa 800.000 lavoratori, il 10 per cento della forza lavoro, ma è anche vero che il governo ha liberalizzato un elenco di 178 nuovi lavori privati.
Nel quadro delle nuove misure economiche che dovranno essere approvate ad aprile dal VI Congresso del Partito Comunista, le autorità stanno annunciando il taglio dei sussidi e delle spese pubbliche. La così detta “attualizzazione del modello socialista” comprende l’apertura al capitale straniero e la creazione di cooperative urbane di produzione e di servizi.
Héctor Palacios, economista e giornalista indipendente, ha dichiarato che queste misure stanno dividendo ancora di più la popolazione cubana. «Penso che passerà molto tempo prima che si risolvano i problemi provocati dal nuovo sistema», ha detto Palacios.
Non è prevista una vera e propria apertura al mercato e meno che mai si parla di democrazia partecipativa per coinvolgere i cittadini nella gestione della cosa pubblica.
«La sola soluzione sarebbe quella di fondare uno stato di diritto e un’economia aperta. In alternativa sarà un disastro», ha concluso.
I primi licenziamenti si avranno nei settori dell’Industria Zuccheriera, Agricoltura, Edilizia, Salute Pubblica e Turismo, secondo quanto dichiarato il sindacato cubano (Central de Trabajadores de Cuba).
Le autorità stimano che nel 2011 verranno soppressi 146.000 posti di lavoro statali e circa 351.000 funzionari pubblici passeranno a ricoprire altri incarichi, molti di loro finiranno a fare i lavoratori privati. Saranno 83 le categorie di impieghi privati dove sarà possibile la contrattazione dei salari tra persone non legate da vincoli di parentela e non conviventi con il titolare. Fino a oggi potevano assumere mano d’opera soltanto gli enti statali, le società miste e le imprese straniere.
Juan Carmelo Bermúdez, portavove del Partido del Pueblo - ovviamente clandestino - ha commentato da Santiago de Cuba che la politica dei licenziamenti e la riorganizzazione lavorativa non viene applicata correttamente.
«Molte persone hanno paura del futuro e sono sconfortate. È palese la mancanza di fiducia in questa operazione del governo», ha detto.
Organi di stampa indipendente e blogger alternativi hanno fatto notare che per la maggioranza dei cubani “l’informazione su un tema così importante è stata scarsa” e restano molti dubbi sui contenuti di un processo di cambiamento mai conosciuto prima.
Bermúdez ha spiegato che il governo non può reimpiegare in alcun modo le persone disoccupate e la sola alternativa resta il lavoro privato. «La scelta del lavoro privato può salvare la vita, ma non è una soluzione che va bene per tutti», ha concluso.
Il salario medio a Cuba è di 20 dollari al mese, ma la perdita dell’impiego pubblico fa venir meno tutti i vantaggi indiretti (illegali ma vitali) legati al posto di lavoro. Alcuni mesi fa il quotidiano ufficiale Granma ha scritto che la Banca Centrale valuterà come concedere crediti per lo sviluppo delle attività private. Nel 2009 c’erano 143.800 lavoratori privati e alla fine di quest’anno il governo confida che siano almeno 250.000.
La gerarchia della Chiesa Cattolica appoggia le riforme e ha chiesto “comprensione” al popolo. Il cardinale Jaime Ortega Alamino ha detto nel corso della messa di inizio anno celebrata nella Cattedrale dell’Avana: «Preghiamo per la buona riuscita di questo processo innovativo per il bene di tutto il popolo».
L’attivista dei diritti umani Elizardo Sánchez Santa Cruz ha dichiarato che Raúl Castro sta dando il via a politiche neoliberali che danneggeranno le classi più umili per sanare «difficoltà create dallo stesso governo». «Non c’è piena consapevolezza della situazione e i problemi sono complicati da una mancanza di informazione pubblica», ha puntualizzato Sánchez. «Aumenteranno le tensioni ma non credo che si innescherà un grave conflitto sociale perché il regime controlla la situazione con la forza e con l’intimidazione».
La sconfortante conclusione dell’attivista per i diritti umani coincide con la nostra valutazione. Una rivoluzione fatta dagli umili a vantaggio delle classi meno abbienti si sta trasformando sempre di più in un capitalismo di Stato, in un neoliberismo senza libertà.
Gordiano Lupi