La formica lavorava come un elefante aspettando l’inverno, e siccome gli elefanti non hanno alcun motivo per attendere l’inverno il suo lavoro (quello della formica) era perfettamente inutile.
La cicala, chiamata Josefina, cantava a ogni ora del giorno, non lavorava mai e la sua unica attività consisteva nel perfezionare le corde vocali. Cantava sempre, persino la domenica, quando si esibiva in un coro, e siccome era molto pulita tutti i giorni si faceva la doccia. Di notte non cantava però russava in maniera melodiosa, secondo la sua opinione, mentre la sua vicina, la formica, riteneva che facesse soltanto un rumore odioso.
Un giorno passò davanti a casa della cicala un agente dell’imperialismo che dopo averla sentita cantare decise di trasformarsi in agente artistico. Offrì un lungo contratto alla cicala, che (peggio per lei) accettò incantata. Tutto il resto fu opera della cicala, mentre l’agente riscuoteva il dieci per cento.
Quando giunse l’inverno per la cicala fu il tempo della stagione artistica invernale, mentre per la formica arrivarono le piogge. La poveretta vide la sua dispensa travolta dalle acque. Disperata, andò a chiedere aiuto alla cicala, che non era più sua vicina di casa ma viveva nella miglior zona residenziale della città. La cicala, vanitosa e spinta da compassione, nominò la sua amica formica addetto stampa esclusivo.
Oggi la formica lavora ancora come un elefante, ma non deve aspettare l’inverno e visto che non attende non si dispera. La cicala continua a cantare, ha un grande successo artistico ma è sfortunata in amore, si è sposata tre volte e ha divorziando sei. In quanto all’agente, continua a riscuotere il suo dieci per cento, ancora per non fare niente.
Morale della favola: Il crimine non paga, ma l’ozio dà diritto a un dieci per cento. Non sempre, a volte pure a un quindici per cento.
Guillermo Cabrera Infante, da Exorcismos de esti(l)o
Traduzione di Gordiano Lupi