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E se si provasse a prolungare l’anno? Una poesia di Erich Kästner 
di Gabriella Rovagnati
31 Dicembre 2010
 

Cabarettista, sceneggiatore, scrittore e poeta, nonché autore di successo di libri per ragazzi, Erich Kästner, nato a Dresda nel 1899 e morto a Monaco di Baviera nel 1974, fu molto apprezzato dal pubblico tedesco, soprattutto dagli venti agli anni cinquanta, per il suo acume umoristico. Come racconta nella sua autobiografia Als ich ein kleiner Junge war [Quand’ero un ragazzino, 1957], la fine del periodo sereno dell’infanzia coincise per lui con lo scoppio della prima guerra mondiale. La chiamata alle armi, che seguì nel 1917, e il rigore della vita in caserma, fecero di lui un antimilitarista convinto. Soltanto dopo la fine del conflitto Kästner riprese gli studi, prima interrotti, ottenendo la maturità e iscrivendosi poi all’Università di Lipsia per compiervi studi di filosofia, letteratura e teatro.

Costretto dalla sua precaria situazione economica a mantenersi con mille mestieri occasionali, conseguì la laurea nel 1925, e subito dopo iniziò a lavorare come giornalista per un foglio di Lipsia, distinguendosi per il suo stile fustigante e irriverente, che presto gli costò il licenziamento. Si trasferì allora a Berlino, da dove continuò a lavorare per lo stesso giornale come corrispondente culturale, firmandosi tuttavia con uno pseudonimo. Gli anni berlinesi furono i più produttivi della sua carriera: in quel periodo scrisse un numero esorbitante di poesie, glosse, reportage e recensioni, racconti per ragazzi e romanzi; ma molti di questi testi sono andati perduti perché l’abitazione dello scrittore fu bombardata e distrutta nel febbraio del 1944.

Pur essendo un oppositore del nazionalsocialismo, Kästner, infatti, non emigrò dopo l’ascesa al poter di Hitler, ma non ebbe certo vita facile; fu più volte interrogato dalla Gestapo ed escluso dall’associazione degli scrittori; i suoi libri vennero bruciati perché considerati contrari allo spirito del regime e filobolscevichi, ulteriori pubblicazioni nell’ambito del Reich gli furono vietate.

Quando perse la sua casa berlinese, Kästner si unì a un gruppo di cineasti e si trasferì in Tirolo e vi rimase fino alla fine della guerra. Da lì si spostò a Monaco dove, nel dopoguerra, riprese la sua intensa attività di pubblicista e scrittore e dove si dedicò con particolare verve al cabaret letterario per mettere in discussione coi suoi Lieder e i suoi sketch i problemi di una Germania deturpata esteriormente e interiormente dalla barbarie di un’ideologia nefanda.

Il suo iniziale ottimismo lasciò però ben presto luogo allo sconforto: l’era Adenauer gli parve imporre inaccettabili limitazioni alla libertà d’opinione, la Repubblica Federale del boom economico in preda al culto di un’opulenza sfrenata. Contrario alla guerra del Vietnam e allo strapotere dei trust della stampa tedesca, Kästner, deluso dal nuovo corso della storia, si abbandonò sempre più all’alcool e uscì praticamente dalla scena letteraria. Solo negli anni settanta ebbe iniziò la progressiva riscoperta e rivalutazione di questo singolare intellettuale, morto nel luglio del 1974, divorato da un cancro all’esofago.

Della sua volontà di opporsi alla realtà, ma nel contempo della sua rassegnazione ad accettarla nei suoi aspetti immutabili, parla anche la poesia che qui propongo in una mia traduzione per la fine dell’anno. Quasi a rifiutare che l’anno si concluda sempre dopo dodici mesi per riprendere da capo il suo sterile ciclo, Kästner si augura la possibilità di poter statuire, almeno con la potenza della fantasia, un tredicesimo mese che, come nelle forme cangianti di un caleidoscopio, sia capace di comporre in una sola immagine quanto di più bello ogni singolo mese ha da offrire.

Così, dopo la prima quartina dove il poeta pone il progetto sul tappeto (ma insieme anticipa nel condizionale la coscienza della sua irrealizzabilità), nelle quattro successive - che constano, come l’intera composizione, di versi dal ritmo popolareggiante -, prova a immaginare di poter fondere e confondere le stagioni nelle loro più splendide manifestazioni, salvo giungere, nella quinta, ad ammettere la disfatta e a invitare, nelle due successive, il mese inesistente a materializzarsi da sé, salvo cedere infine, nell’ottava e ultima, all’ineluttabilità dello scorrere del tempo che, senza lasciare uno spiraglio di speranza a una possibile variazione, ripete il proprio ciclo secondo una ferrea legge immutabile.

Tratta dalla raccolta Die dreizehn Monate [I tredici mesi], pubblicata postuma nel 1999, la poesia dice la rinuncia malinconica di un uomo che, nonostante la sua indomita vena ribelle, dichiara la propria impotenza dinanzi Cronos, che si rivela più potente di ogni seducente slancio chimerico.

 

 

Il tredicesimo mese

Come sarebbe, se ce lo si potesse augurare?
Sarebbe un mese bisestile? Si chiamerebbe forse undicembre?
A chi ne bastano dodici non si può essere d’aiuto.
Che aspetto avrebbe il tredicesimo dei dodici?

La primavera sarebbe in piena fioritura.
Rose e gelsomini festeggerebbero l’estate.
E le mele penderebbero, morbide e rosse e d’oro,
Fra i rami d’autunno.

Gli abeti uscirebbero sotto innevati
Berretti croati dalla selva di betulle
E al mercato delle stagioni

Comprerebbero mughetti.

Adamo ed Eva, distesi sul prato,
Farebbero l’amore su un letto di violette,
Come se nessuno dal paradiso
Li avesse cacciati.

Giallo sarebbe il grano. E blù i grappoli d’uva.
Noi sogneremmo, e la terra sarebbe il sogno.
Tredicesimo mese, lascia che crediamo in te!
Il tempo ha spazio!

Scusa se siamo tanto temerari da tratteggiarti.
S’agita il velo. Il tuo volto resta occultato.
Non si fa, lo sappiamo, con dodici vecchi quadri
Un quadro nuovo.

Perciò crea tu te stesso! Con suoni inauditi!
Con colori che nessun arcobaleno può esibire!
Depreda il tuo tesoro da bellezze mai accadute!
Taci? Tace.

Il tempo fa tic tac. L’anno si volge in circolo.
E divenire può soltanto, quanto già sempre fu.
Pazienza, cuore mio. In circolo procede il viaggio.
E a dicembre gennaio seguirà.


 
 
 
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