L’altro giorno Umberto Bossi, che con la Lega sembra essere il vero dominus di quel che resta del PdL, è stato di una chiarezza cristallina: “Il voto è l’unica igiene. Abbiamo perso tempo. In questo modo gli altri si sono organizzati”.
Chi siano gli “altri” non si comprende bene; gli “altri” che si sono organizzati, per capirci. Perché tutto sembra essere in alto mare, né si scorge una significativa inversione di rotta.
Cominciamo con il PD. Pierluigi Bersani l’altro giorno, intervistato da Repubblica ha adombrato la possibilità che le primarie “saltino”. Si è subito accesa una polemica, accusando Bersani di aver far ricorso a un escamotage per evitare una prova che si sarebbe potuta rivelare imbarazzante. È possibile, probabile che sia così. Tuttavia è di un qualche significato che nessuno si interroghi su cosa siano – o sarebbero state – queste favoleggiate primarie.
Negli Stati Uniti le primarie sono una cosa seria, e servono per selezionare il candidato alla presidenza o per governatore, non per la leadership di un partito. E questo è il primo punto. I candidati si presentano davanti ad un elettorato, conducono una campagna elettorale dura e senza esclusione di colpi, l’elettore conosce programmi e personalità del candidato, lo sceglie, e dopo il candidato corre per la carica, contrapponendosi al candidato del partito avversario. In Italia si è elaborato un regolamento farraginoso, le cui regole sono sconosciute ai più. Quando Marco Pannella manifestò l’intenzione di candidarsi alle primarie, i “saggi” del PD sentenziarono che la cosa non si poteva fare perché Pannella non era iscritto al PD, e perché era leader di un partito che non si era sciolto nel PD stesso. Argomentazione pretestuosa, ma venne usata. Ora il principale antagonista di Bersani pare essere Nichi Vendola, che al PD non è iscritto, e che è leader di un partito che non ci pensa neppure a sciogliersi nel PD. Allora, ci vogliono dire come stanno davvero le cose? Che ci siano le primarie per scegliere il candidato sindaco, di Torino come Bologna, di Napoli come di Milano, va benissimo. E non scandalizza che – come a Milano – il candidato del partito venga bocciato, e sia premiato uno su cui il PD non aveva puntato; però si vorrebbero conoscere le regole, e avere delle precise coordinate. Invece la confusione sembra al diapason. In questo scenario, le primarie sono caricature, più simili a plebisciti che strumento per il militante, l’elettore per scegliere il suo candidato. Negli Stati Uniti inoltre, chi vuole partecipare al gioco delle primarie, deve registrarsi (certo, poi dopo è libero di votare come gli pare); ma per le primarie italiane, votano tutti, votano gli iscritti, votano in passato i “paganti”?
Primarie a parte, il PD su quanti forni intende giocare? Quello dell’UdC, contemporaneamente impegnata con il partito di Gianfranco Fini, il gruppo di Francesco Rutelli, l’MPA; Casini a sua volta, dichiarazioni ufficiali a parte, gioca una sua partita con Berlusconi; e questo sul fronte moderato. Bersani poi, si volta a sinistra, ed elenca possibili interlocutori e alleati. Nel farlo – fatto non secondario – omette sempre di citare i radicali; la domanda è: lo fa perché dà per scontato che i radicali in qualche modo ci siano; oppure lo fa perché dei radicali non gli importa nulla? Una risposta prima o poi bisognerà averla.
C’è poi la questione Italia dei Valori. Come alleato lascia il tempo che trova: aveva solennemente promesso che dopo le elezioni il gruppo dei suoi parlamentari si sarebbe “sciolto” in quello del PD. Affermazione e promessa puntualmente smentite. A parte i comportamenti e le posizioni demagogiche e populiste, ci si dovrebbe chiedere come mai Di Pietro è il prezzemolino di tutti i talk show politici e dei telegiornali, pubblici e privati che siano. E che il PD non se lo chieda, è anche questo indicativo. Quanto alla “forma partito”, Di Pietro non può continuare a dire che ha commesso un errore, che non sapeva, non voleva, non poteva. Non sono solo i casi di Antonio Razzi, Amedeo Porfida, o Domenico Scilipoti. L’elenco dei: “Basta, scendo!” è lunghissimo. Senza scomodare trasformismo e compravendita, semplicemente, spesso, si tratta di parlamentari che “non si trovano più”: Jean-Leonard Touadi, Beppe Giulietti, Pino Pisicchio, Aurelio Misiti, Beppe Astore, Giacinto Russo, Pino Arlacchi, Vincenzo Iovine, Valerio Carrara, Sergio De Gregorio, Federica Rossi Gasparrini, per non parlare di eletti (o “nominati”) ai consigli regionali, provinciali, comunali. Se perseverare nell’errore è diabolico, il PD si sta guadagnando meritoriamente un posto all’inferno…
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 20 dicembre 2010)