«Dovremmo vederle come la prima
[e l’ultima volta,
marcarle sulle viscere dell’anima,
[le cose, i volti»
(da “Affreschi all’église grecque de Cargèse-VIII”
di Giacomo Gusmeroli)
E sembrerebbe, leggendo le poesie di questa intensa raccolta - ancora inedita - di Giacomo Gusmeroli, che lui ci sia riuscito. A marcare col ricordo e con l’inchiostro le cose della vita, riproponendole su carta e sotto la luce, anzi il lucòre, di quell’acqua speciale e dissetante che sa essere a volte la poesia.
Sono versi, questi di “Lucòre d’acque”, che ci parlano di radici, innanzi tutto. Di passato e di memorie familiari, che è poi dire ancora “radici”… La vita come un succedersi di stagioni, ognuna segnata nel mondo contadino da specifiche incombenze, da colori e da attrezzi.
Tutto ciò che è materia poetica per l’autore è vita, respira; è linfa e germoglio. La natura sa parlare e le vite degli uomini restano sullo sfondo di qualcosa di più grande, di qualcosa che avvolge in un abbraccio come sa fare una madre. È così che si può scrivere di un distacco da una persona amata percependolo come «il grande respiro della seminagione e della mietitura» oppure di un sollievo dalla paura della malattia come di «stille di rugiada» a tirar su il fiato. O ancora di un addio ai compagni con cui si è condivisa un’avventura-maestra di vita come di un «taglio netto (…), potare i tralci della vite che per giorni fa sgocciolare lacrime».
Questa materia viva di cui siamo fatti è terra che è madre e nutre, trattandoci con sacralità. A ogni essere vivente il compito di fare altrettanto.
Da qui, la compassione come sentimento che sa albergare in chi avverta chiaro in sé il valore di tutto ciò, l’umiltà di sapersi «piccoli, precari e fragili», di fronte alla «sòcca della terra» come di fronte ad ogni altro da noi (ognuno con «differenti sbirci, con differente indole, e io che sono unico, per come sono unico io a incaponirmi e a sversare la mia gabbia mentale su piedistalli»).
Ed è amore che non molla mai, quello per la madre terra, anche nelle poesie sull’alluvione in Valtellina del 1987, perché anche quel dolore, «ogni affondo delle acquee è più gogna, così doloroso», sa diventare nei versi di Giacomo Gusmeroli «lo sbocco di un pianto materno» e per chi resta nell’universa fraternità un constatare che «poi il tempo s’impenna e va, più in là cainamente stracolmo del suo sforbiciare. E noi fatti di fatti, fatti a dirci che ci si sta».
Sono tanti i ricordi che riaffiorano dai versi dell’autore: immagini che riportano a fatti e persone importanti nella sua vita, una bicicletta o un orologio, una contrada di sassi o i pascoli dell’alpe, una fotografia… tutto a testimoniare l’amore per i genitori, per il padre, verso i propri figli.
Ed è molta spiritualità, approccio al divino, a permeare la poetica di Giacomo Gusmeroli, anche se una sola volta compare esplicitamente la parola Dio. Quasi, c’è da scommetterci, per una forma di riserbo dell’autore, quella sua voglia appena accennata di «incontrare un poeta o forse voglia di eremi di transito… di Dio…».
Annagloria Del Piano
Da “Lucòre d’acque”
di Giacomo Gusmeroli
A SEMINAGIONE
sei uno millenovecentoventi
E A MIETITURA
+ trenta dodici millenovecentonovantasette
Te sull’ottomana assente e consunto
dalla imminente morte: un
corpo
tutto munto
all’ultimo tratto. Emetti fuori
il grande respiro della seminagione
e della mietitura. Estrema linfa del
mio germoglio.
da (Mattutino) ai (Vespri)
con Daniela
Jacopo e Matilde
Viene l’alba e noi semisvegli lì
fra il reggiseno in bilico sulla sedia
i libri sghembi sul pavimento, la
borsa preparata sulla scrivania. Il
treno delle seieventisette è scomparire
improvviso dei corpi, figli che dormono
ancora. Un magone tagliente nell’aria.
I giorni dispariscono e di corsa e dalle rovine
viene giù la sera come un
attracco esile - quella stanchezza
dei lineamenti svasati
del volto - e se ne sente il defluvio ruscellante
[di questa vena quotidiana.
Diciassettedieci
Questo è una fase della vita: più pregna, maturata,
che invecchia, come il vino, come i seni della madre,
ultralimitata come un azzardo…
Poi tutto il greve peso dei pesi sulla groppa,
le gioie violente, la tensione lacerante
sgraverà come una sfiorata di vento salmastro
sulle foglie giallastre-viola dell’acero montano
dove la bruma spariglia le zone erbose
e la scorza scomponendo
anche i pensieri, e il calore
della terra, il colore
che mastrugni quando la dissotterri
a svellere le contorsioni
delle radici prossime all’albero del sambuco
che osserva
le frange biondo-oro del maggiociondolo
e le scarpe sderenate
ormai piccole dei piedi dei figli.
FOTOGRAFIA
Ritratto [ - - ] allegrezza
e povertà, ammiccanti fuori la casa sullo scrimolo
NOI 6
e addosso scolorenti, umili indumenti.
3 – luglio - 62 (là dove incrudelisce l’azzurrità)
alla Paia, non ci sono latrine con l’acqua, non
[ci sono inutilità
per i genitori
e per i figli. Bellissime a rasomuro e rasoombra lì
[le facce, come
un oscillìo d’una nell’altra, non si può pensare
l’una senza l’altra.
“Fanno suléngul* gli zoccoli cariósi con la tomaia di
[cuoio
e le poche altre cose: la panca, il tavolo,
il fiasco vuoto del Chianti, un bastone…
e
se ti slitta in mente poi che il Giovanni lui è lì
ma non c’è più
vai via di fiato………………………………………………”
* Suléngul: parola intraducibile; quasi a dire un senso di solitudine di tristezza di abbandono e di malinconia.
Mercoledì 22 dicembre alle ore 20:30, a Sondrio presso la Sala del BIM - LungoMallero Diaz, 18 - Giacomo Gusmeroli leggerà le sue poesie, accompagnato da Elisa Genetti al flauto traverso e da Mattia Ciapponi, cantautore e musicista.
Organizzazione: Associazione GEA di psicosintesi.