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Yoani Sánchez. Natale alla cubana
20 Dicembre 2010
 
Nell’isola che un tempo proibì le pratiche religiose per decreto molti cubani hanno rinforzato la loro fede. La pressione che la dittatura castrista esercitò nelle scuole e sui posti di lavoro non ha ottenuto il risultato di far scomparire la tradizione e le usanze.

 

 

Dicembre porta sempre con sé odore di incenso, rumore di pianto di neonato e un lontano sapore di torrone. Curioso, perché in realtà sono nata nell’epoca del più retrivo ateismo e sono entrata per la prima volta in una chiesa all’età di 17 anni. Malgrado ciò, di nascosto dai miei genitori - entusiasti del materialismo imperante - i miei nonni mi raccontavano le storie di Natale, del presepe, delle stelle che brillavano nella Notte Santa.

 

Il Cristo nascosto

 

Non capivo cosa ci fosse di male in certe cose, perché la maestra girava gli occhi e ci zittiva quando ci sorprendeva a parlare della Vigilia di Natale. La confusione che avevo in testa fu totale quando mi resi conto che la stessa intransigente professoressa portava un Gesù crocifisso, sotto forma di spilla dentro il portafoglio, ben nascosto dagli sguardi altrui.

Questo falso ateismo era il risultato di uno dei cambiamenti più importanti che è riuscito a ottenere il socialismo cubano: la scomparsa delle pratiche religiose. Nei moduli per chiedere un posto di lavoro, per iscriversi all’università e persino per sollecitare una nuova abitazione c’era sempre la domanda: “Hai credenze religiose?”. Tutti sapevano come rispondere, perché l’interrogativo non era a fini statistici ma serviva per intimidire.

 

Laureati in ateismo

 

Chi voleva entrare a far parte del Partito Comunista, doveva superare un corso di “ateismo scientifico” e non poteva battezzare i figli. Per questo motivo faccio parte del gruppo di chi non ha sentito scorrere l’acqua benedetta sulla testa. Le proibizioni non fecero scomparire i sentimenti religiosi, che furono soltanto nascosti. Un’intera generazione di cubani crebbe priva di fede. Frasi di uso quotidiano come “se Dio vuole”, “grazie a Dio” o “che Dio ti protegga”, per le persone più radicali finirono per avere un significato controrivoluzionario. Chi diceva “addio!” veniva sospettato di tendenze piccolo borghesi e deviazioni ideologiche. I miei nonni misero da parte il Sacro Cuore che tenevano appeso in sala e cominciarono ad accendere le candele e a leggere le preghiere a notte fonda, quando nessuno li poteva vedere o ascoltare.

 

Comunismo messianico

 

La proposta degli ideologi comunisti fu la creazione dell’uomo nuovo, con una visione del mondo scientifico - materialista, privo di superstizioni, altruista e solidale, disposto a dare la vita per la causa, impegnato nella costruzione della nuova società senza ambizioni personali e motivato dalle sue convinzioni politiche. A scuola ci ripetevano che “la religione è l’oppio dei popoli”, ma anche i discorsi politici avevano una liturgia, prevedevano una prova di fede e una dedizione disinteressata a un “messia” che pure lui portava la barba e che pretendeva da noi sacrificio e devozione totale.

 

Isola di fede

 

Alla fine del 1991 accadde “il miracolo”: le autorità depenalizzarono le attività religiose. Dopo quasi vent’anni abbiamo l’impressione che in quest’Isola restino davvero pochi atei. Persino noi che non pratichiamo nessuna credenza specifica condividiamo l’entusiasmo con cui cattolici e protestanti adornano le case e le chiese, contrastando chi potrebbe eliminare ancora una volta la celebrazione del Natale. I bambini più piccoli, nati dopo il ritorno della religiosità, ritengono normale mettere addobbi colorati e intonare canti natalizi.

Per noi che siamo cresciuti nella forzata austerità dell’ultimo giorno dell’anno e con la celebrazione del primo gennaio come la presa del potere da parte dei ribelli nel 1959, il ritorno delle festività familiari in questo periodo dell’anno rappresenta un sollievo. Oggi i miei nonni avrebbero potuto mettere il loro quadro di Gesù in sala, ma purtroppo sono morti quando era considerato un reato credere pubblicamente in qualcosa che non fosse la rivoluzione.

 

Riprendere la speranza

 

E adesso cosa possiamo fare con quell’argilla sprecata con la quale si pretendeva di modellare l’uomo nuovo? Il problema della “perdita dei valori” è un tema frequentemente discusso tra pedagoghi, artisti, funzionari politici e leader religiosi. Nessuno osa dire chi è responsabile di aver creato un soggetto indolente e senza personalità, senza vocazione e obiettivi, dissoluto e amorale, disinteressato al lavoro e senza alcuna aspirazione al benessere, irrispettoso delle leggi, privo di sogni e ideali. Questo tipo d’uomo è il prodotto del prolungato ateismo forzato, della simulazione, del contrasto tra ciò che si ammetteva di professare e quel che in realtà si venerava coperti dal segreto delle mura di casa. È un essere che non crede in niente, neppure in se stesso. Dalle sue ceneri risorge oggi la religione e persino noi che abbiamo perduto la fede lungo il cammino, vorremmo ritrovare la speranza per poter chiedere senza paura che durante questo Natale accada un miracolo.


Yoani Sánchez

(da El Comercio, Perù, 19 dicembre 2010)

Traduzione di Gordiano Lupi


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