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Vetrina/ Paolo Ruffilli. Natale disteso nel mistero
19 Dicembre 2010
 

Natale

 

Da dove nasce, prima ancora

Di ritrovarci nati, tutto quello che

-senza saperlo- siamo già stati?

L’oscura traccia appena lì tracciata

verso la meta, da una mano segreta…

il soffio lieve che nel suo moto breve

sfiorandola di colpo l’ha animata

tirando il velo su, ma solo in parte,

senza svelarlo nel mentre si rivela…

il vecchio che si fa nuovo un’altra volta

nei segni dell’ordito composto sulla tela…

luce che fora il buio senza però stanarlo

con la presa dal suo stato prediletto

di penombra amata e previdente

avviandola intanto sul sentiero…

vita vivente distesa nel mistero.

 

Paolo Ruffilli

Dove nasce –ritrovarsi nati– siamo già stati

 

 

La rima interna rafforza la domanda, anzi l’eterno quesito del ritrovarsi al mondo misteriosamente e misteriosamente proseguire, consapevoli fin da subito di un miracolo che non avverrà e resterà mistero, “prediletto cono d’ombra” al quale affidarci qualche volta, raramente, non per ricerca ontologica dell’essere ma per la percezione di più mondi, e nella coscienza di un tempo prima e dopo noi da sempre e per sempre. Poeta del pensiero, Paolo Ruffilli titola con Natale 2008 questa lirica.

Solo con la mente possiamo giungere nudi all’Avvento laico, primigenio, primitivo e sacrale che comunque ci fa scoprire nati quando non possiamo più scegliere e destinati quando non sappiamo verso dove e fino a quando. Lo stile del poeta poco s’allarga allo stupore, coglie la ricerca umana nel camminare, circondati dal mistero di un velo che si alza solo in parte “senza sve-larlo nel mentre si ri-vela” o nella “luce che fora il buio senza però stanarlo”. Nella nascita e nella morte si snoda l’ordito della tela e “Il vecchio si fa nuovo un’altra volta” ma la tela resta incompiuta proprio nell’attimo che tessuta e di nuovo ordita disegna nascosti pensieri e verità, la penombra diventa amato sentiero. Eppure in questa perfetto contenitore di forma e di pensiero “l’oscura traccia appena lì tracciata” appare e si fa sentire come una ferita sulla pelle, le tre parole doppie e la rima interna fanno da unghie a un solco sull’animo così come i versi che configurano un destino stabilito e irreversibile “verso la me-ta da una mano segre-ta” e “sfiorandola di colpo”.

Alla carezza si accompagna l’oscurità del non sapere e la lirica trascina con sé la pulsione viva e dolorante di un ultimo verso , naufrago e destinato al vivere “vi-ta vi-vente distesa nel mistero”. (patrizia garofalo)


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