Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni. O forse la donna dei tuoi sogni. Ma non è detto che sarà una fortuna. You Will Meet a Tall Dark Stranger è l'ultimo film di Allan Stewart Königsberg, aka Woody Allen, il gran genio di New York.
Un cast stellare: Antonio Banderas nei panni di Greg, un distratto svanito colto impacciato facoltoso gallerista d'arte; Anthony Hopkins nei vestiti di Alfie, che scoprirà presto quanto il desiderio dell'eterna giovinezza sia il più atroce degli inganni e dei misfatti e come l'irreparabile sia, per definizione, tale; Naomi Watts, alias Sally, “cotta” di Greg, suo datore di lavoro, moglie e figlia frustrata e frustrata nelle voglie di maternità, personaggio in isterica involuzione; Josh Brolin, Roy nel film, scrittore senza più fortuna creativa, praticamente nullafacente, marito di Sally e, insieme con la coniuge, sostanzialmente mantenuto dalla suocera: tragico epilogo in crisi d'identità, il suo; Lucy Punch, agghindata da Charmain, magnifica nel ruolo di assatanata e vanesia, una scema magistrale, colei che fa perdere la testa ad Alfie; Freida Pinto, la bellissima Dia, musicologa fasciata di rosso, che manda a monte un matrimonio per Roy; Gemma Jones, la gentile stralunata e visionaria Helena, la tradita e abbandonata da Alfie, forse la sola che si salverà attingendo al pozzo della sua soave follia.
Un film scoppiettante, come nel miglior stile di Woody Allen, e amaro, come nel miglior stile di Woody Allen. Esilarante, demenziale e serissimo. O di quando la felicità è impossibile (e impassibile).
Storie di coppie incrociate e di illusioni che ti mettono nel sacco, quando magari pensi di averla fatta franca o di avere dato una svolta alla tua vita. La fregatura è dietro l'angolo, inesorabile. A meno che non ci si affidi alle sinuose vie del sogno e al mistero del semplice quotidiano. Altra domanda che sorge in petto: farsi guidare dall'irrazionale o dal razionale?
Ripercorrere la trama raccontandone le innumerevoli svolte non serve. Perché rovinare la sorpresa, anche se tutto converge in un imbuto, alle strettoie dell'esistenza, alla ragnatela che intrappola e, nel dibattersi, strappa pure un ultimo sorriso, che sa di smorfia?
Una pellicola, nonostante qualche risata e tante pieghe, per l'appunto, di sorriso, pessimista, caustica e cupa? Forse che sì forse che no. Del resto, dice Woody Allen, fare film... «È una distrazione che presenta le sue sfide e che di conseguenza mi serve per distrarre la mente dai pensieri morbosi». Tutti serviti.
Un'altra perla della infinita collana alleniana.
Alberto Figliolia