Dopo questo lungo inciso, torno ai miei ricordi personali. Un altro incontro, non meno importante, con Giulio Spini ebbe luogo nei primi anni Ottanta quando provai a impegnarmi nel campo del turismo culturale. Si trattava di studiare la storia di Morbegno, per farla conoscere ai visitatori, agli scolari e agli studenti. Anche questa volta, Giulio Spini fu il mio maître à penser. Quanti stimoli mi hanno trasmesso i suoi scritti! E non l’ho mai ringraziato, anche perché rifuggiva dai complimenti. Questa volta, molto in ritardo, cerco di riparare alla meno peggio.
Ma vorrei far comprendere meglio, con un esempio concreto, quali sono state le tante sollecitazioni culturali che mi ha offerto. Il primo, e più importante, cavallo di battaglia nell’ambito del turismo culturale – tradotto in visite guidate – è stato il Palazzo Malacrida, bellissimo edificio settecentesco nel cuore antico di Morbegno. Migliaia di persone l’hanno visitato. Ecco, posso affermare che la trama che sottostava alle parole che usavo in queste visite guidate era stata magistralmente tessuta da un testo di Giulio Spini. Era contenuta in un suo saggio breve e illuminante del 1981, La storia familiare dei Malacrida scritta dall’ultimo rampollo della casata. Leggerlo rappresenta una straordinaria occasione per incontrane la scrittura sciolta e misurata, sempre ritmata da una scrupolosa punteggiatura. Una scrittura che illumina i concetti espressi. Impossibile trovarvi una parola superflua. Questo è lo stile del Giulio Spini storico: al di là dell’intrinseco valore di ricerca, emerge sempre quella sua misura di chiarezza che lo rende autorevole. Eccone, allora, un breve estratto.
Il tono affettuoso, commosso quasi, traspare anche dal ritratto a tutto tondo del padre, dal resoconto delle sue traversie politiche, dalla registrazione dei suoi disturbi fisici. La cronaca familiare si fa umana e gli ultimi ramoscelli dell’albero ormai secco sembrano toccati da un lieve soffio di vita domestica, nella quale si perde e si dimentica il senso della piccola gloria a cui le memorie dovevano servire. … L’importanza [del diario Malacrida] consiste, quindi, anzitutto, nel fatto che vi si trova ricostruita la vicenda pluricentenaria di una delle decine di famiglie nobili valtellinesi di cui fu costituita la nervatura economica e politica della Valle fino alla Repubblica Cisalpina. Una famiglia nobile di media risonanza, quella dei Malacrida, che ha avuto momenti di evidenza più alti nel XIV e nel XV secolo, come altre del resto, ma nella quale si possono vedere riflessi caratteri e modelli comuni a tutta la nobiltà della Valtellina. La nobiltà fu, come è noto, per quasi mille anni, dal Medioevo alla fine del ‘700, la Valtellina ufficiale, la Valtellina-soggetto degli avvenimenti politici e del sistema economico (almeno in gran parte), dei rapporti con i diversi dominatori succedutisi e con l’esterno. La Valtellina ufficiale, insomma … Per chiarire, quindi, in sede storica, in che modo la Valtellina medioevale e moderna (fino alla Repubblica Cisalpina) è affiorata sulla superficie regionale, nazionale ed europea, bisogna passare per una esplorazione adeguata della nobiltà, dei caratteri suoi propri, del suo interno svolgimento e, secondo un’ipotesi da verificare, della sua parziale trasformazione, economica e culturale, in senso borghese.
Inoltre, profondo studioso della cultura locale, ha lasciato numerosi articoli e saggi, scritti sempre in uno stile esemplare per chiarezza ed eleganza. Già nella presentazione del terzo volume della Storia della Valtellina e della Valchiavenna, siamo nel 1973, Giulio Spini si pone – e formula anche a noi – una domanda centrale sulla sorte del suo mondo, di quel mondo della montagna che vedeva cambiare tanto velocemente: Ha un domani la vita collettiva in montagna o essa dispone solo di un presente, che resiste giorno per giorno, fin che può, immerso nei ricordi?. Possiamo leggervi un segno della sua passione per l’etnografia, per la storia del mondo contadino. Alla fine degli anni Settanta ebbi una serie di incontri con lui per sondare la possibilità di dar vita a un Museo etnografico, che sarebbe nato con un’ampia ricerca sui dialetti della bassa Valtellina. Non se ne fece nulla. Mi restano, però, il ricordo – oltre che della sua competenza – del suo entusiasmo, della sua serietà e della sua determinazione. Possedeva un’esigenza di chiarezza morale e intellettuale che lo portavano ad essere quasi rigido nelle discussioni e coerente ad ogni costo nelle scelte. In ogni caso, era avvincente quando scriveva di argomenti che toccavano il mondo della montagna, il mondo delle sue radici, la sua Val Tartano (anche se non credo di raccontare nulla di nuovo se rivelo che il suo grande amore era la Val Fabiòlo). Il meglio, in questo campo, lo dà, a mio parere, nei testi – soffusi, qua e là, di una leggera malinconia – che fanno da preziosa cornice alle diverse sezioni del libro fotografico di Gianpiero Mazzoni, Sopravvivenze. Catturiamone un brano, dalla sezione dedicata agli anziani, tanto per scoprire un Giulio Spini ancora una volta maestro di pensiero. La sua scrittura cristallina, infatti, riesce a far comprendere in pochi tratti quello che, talvolta, viene diluito in centinaia di pagine indigeste e ricche di fumo nei saggi di sociologi e antropologi. La montagna offre l’ambiente fisico e umano in cui negli anni della “terza età” le persone possono sentirsi ancora radicate con tutta la loro dignità, il loro passato e il loro presente. La lavorazione della terra vi dispone di compiti e mansioni che si adattano bene al graduale declino delle forze. Nessuno è costretto a cadere bruscamente nell’ozio. La vita degli anziani continua, quindi, a scorrere in comunanza di tempo, di lavoro, di interessi con i più giovani, con i ragazzi, con i bambini. Essi, gli anziani, sono la memoria vivente della montagna, in un’epoca di facili dimenticanze. Alle volte vien da chiedersi se non ne siano anche gli ultimi custodi. Certo, là dove il diradamento della gente ha lasciato troppi vuoti, i disagi e la solitudine possono fare la loro triste compagnia. A questo ambito, al profondo legame con il mondo contadino, si può ricondurre l’appassionante – non ne ho mai perso una puntata – “Diario di un parroco di montagna”, pubblicato, con lo pseudonimo di Elio Rupi, in tanti episodi su Quaderni Valtellinesi (la prima puntata apparve nel luglio del 1984) e ripreso, in veste più umile, dal bollettino parrocchiale Comunità Valtartano. Considerato poi lo scopo di questo articolo – stimolare la voglia di leggere quanto ha scritto Giulio Spini – lascio una traccia per scoprire almeno altri due saggi, scelti tra i tanti. Il primo risale al 1984 ed è una sintesi storica chiara e brillante, pubblicata con il titolo I secoli della Valtellina all’inizio di Valtellina: nostalgia delle origini. È, invece, del 1990 il lavoro “Stampa e vita politica in provincia di Sondrio nel periodo fascista” incastonato nel secondo volume di Editoria cultura e società: quattro secoli di stampa in Valtellina (1550-1980).
Infine, nel mio minuscolo archivio conservo due sue lettere. La seconda, in particolare, vergata con quella sua scrittura volitiva, me la spedì nel 1997, dopo una visita “guidata” alla biblioteca Vanoni. Allora stava conducendo delle ricerche sul suicidio in Valtellina.(1) Insieme, per una buona mezz’ora ci eravamo aggirati tra gli scaffali e avevo cercato di rispondere a una raffica di domande che indicavano, in ogni caso, il suo profondo interesse per il funzionamento della biblioteca e in particolare la sua serena soddisfazione nel vedere già adolescente una struttura di cui lui – come sindaco di Morbegno – era stato il padre. In conclusione, sarebbe bello che in futuro molti potessero accedere facilmente ai suoi scritti, iniziando proprio da quelli storici. Si potrebbe prevederne una ristampa in due volumi. Per non restare nel vago, ecco un piccolo piano editoriale. Il primo volume, da solo, dovrebbe contenere Dalla Cisalpina al Regno d’Italia. Oggi è un libro introvabile, lo si può leggere soltanto nelle biblioteche pubbliche. L’occasione propizia per una ripubblicazione potrebbe essere l’anniversario che incombe: 1861-2011. Per quanto concerne il secondo volume, potrebbero esservi ristampati insieme alcuni saggi storici: La storia familiare dei Malacrida scritta dall’ultimo rampollo della casata [da: Addua: studi in onore di Renzo Sertoli Salis. (Società Storica Valtellinese, 1981), p. 269-328]; I secoli della Valtellina [da: Valtellina, nostalgia delle origini (EFFEBI, 1984), p. 9-34]); Stampa e vita politica in provincia di Sondrio nel periodo fascista [da: Editoria cultura e società:quattro secoli di stampa in Valtellina, 1550-1980 (Banca popolare di Sondrio, 1990), vol. II, p. 199-274]; infine la Storia del Movimento cattolico in Valtellina, apparso in sette puntate su: Quaderni Valtellinesi dal gennaio 1982 al gennaio 1984. E poi c’è il suo prezioso archivio… Ma questo è tutto un altro discorso. Intanto, Giulio Spini non va dimenticato. Doverosa l’intitolazione della Scuola elementare di viale Ambrosetti a Morbegno. Ma ricordarlo degnamente significa soprattutto cercare e studiare i suoi lavori. Sono questi che, negli anni a venire, rappresenteranno la sua eredità più preziosa e duratura. Intanto gli si può rendere un primo e doveroso omaggio col raccogliersi un istante davanti alla sua tomba nel cimitero di Morbegno.
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A questo punto, provo a immaginare Giulio Spini mentre legge queste righe. Lui che non amava i fronzoli e le lodi. Lo vedo scuotere la testa, ripetere più volte “orpo, orpo” (era il suo curioso e buffo intercalare), e alla fine arrabbiarsi anche un po’. Ma questa volta non può farci nulla. Io lo ricordo così.
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Infine devo dire un grazie di cuore alla signora Carolina Spini (1938) – originaria di Tartano – la quale, con grande delicatezza, mi ha fatto partecipe di alcuni episodi di un Giulio Spini privato, permettendomi così di poterne conoscere meglio la quotidiana umanità.
Renzo Fallati
(1) La sua ricerca diventò un contributo (in un volume pubblicato da FrancoAngeli c1999: Suicidio e società: una speranza dalla prevenzione / a cura di Mario Ballantini) dal titolo “Suicidio e condizione umana della montagna” (Giulio Spini, p. 137-143).
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