Carcere di alta sicurezza di Opera-Milano. Non certo un luogo divertente, piuttosto, in maniera palese, un luogo di pena ed espiazione. Eppure, la vita è più forte di ogni dolore o rabbia e la speranza, in fondo, non è mai spenta dimorando sempre nel cuore di chi lo voglia.
All'interno del carcere vive e opera da quindici anni il Laboratorio di lettura e di scrittura creativa: sito privilegiato, nonostante le dure condizioni esistenziali, per un fecondo scambio di pensieri ed emozioni tra le persone detenute, nonché opportunità e occasione di offrire un linguaggio per esprimere i sentimenti che albergano nell'anima e i pensieri che irrorano la mente, per rielaborare, nella coscienza, ogni vissuto.
Ogni anno il Laboratorio pubblica le poesie dei suoi partecipanti: il risultato è sino a oggi costituito da quattro antologie e otto calendari poetici. La stampa, pur non essendo lo scopo precipuo del Laboratorio, è divenuto un mezzo affinché la voce di persone detenute esca all’esterno creando un ponte tra il dentro e il fuori (concetto fisico e anche altamente simbolico).
Silvana Ceruti è colei che da lunghi anni segue, con passione, sensibilità e competenza, il progetto recandosi almeno due volte al mese a Opera. «Il progetto del Laboratorio resta quello di condividere un pezzo di vita assieme, di condividere la comunicazione. Il Laboratorio non è un progetto rieducativo o di assistenza sociale. Io credo negli incontri tra persone. Tutto è nato da un corso che ho cominciato a tenere a Opera quindici anni fa – corso che mi aveva chiesto un Ente – e che era di aggiornamento sulla lettura. Quindi non è nato da un programma del Carcere. Quando, dopo due anni, è finito come lavoro per me, c’era ormai una piccola comunità di persone e il corso è cosi proseguito per poter discutere: si portava un libro, se ne parlava, poi si scriveva. Era ed è proprio un progetto di comunicazione alla pari, al di là delle azioni che ognuno compie o ha compiuto».
Dal lavoro al volontariato il passo è breve... «È accaduto per caso che dopo quattro-cinque anni di cose dette e scritte tra di noi, si sia avuta l’opportunità di pubblicare una antologia di poesie (In un mignolo d’aria) e da li è nato il desiderio di comunicare anche con l’esterno. Il mio progetto è continuare questo: condividere e testimoniare la condivisione. Tengo a sottolineare che non vi è mai alcun caso di gelosia tra i corsisti poeti, perché niente nasce dall’ambizione di dire... “Io sono bravo, sono poeta, sono il poeta”, ma, ripeto, dal desiderio di comunicare. Inoltre, sentendosi gruppo, quando viene apprezzato un singolo, si sentono apprezzati tutti. Se viene un poeta da fuori, come ospite, e viene letta una poesia e quel poeta riconosce che è bella, vedi subito tutto il gruppo che sorride, felice per il successo dell’uno che è poi quello di tutti. Molti poeti “di nome” nel corso degli anni hanno curato le varie antologie, coadiuvando la crescita espressiva del Laboratorio e venendo tra di noi il sabato: Neri, Vidale, Loi, Vaccaro, Cannillo, Fignon, Raimondi, Cucchi, De Angelis».
Ci racconti qualcosa su come si è consolidato e si sviluppa, in un ambiente di certo difficile (almeno in partenza), il rapporto fra le lei e i membri del gruppo? «Stando a contatto con queste persone che vivono in un carcere ho fatto una scoperta. Sono persone che sicuramente hanno compiuto azioni deplorevoli e hanno rotto un patto sociale. Però sono anche persone capaci di altrettante azioni grandi, belle, delicate, e che hanno gli stessi sentimenti d’amore di chiunque altro, verso la donna, verso un figlio, verso il padre o la madre, e anche verso dei luoghi. Nei loro scritti c’è tutta la gamma dei sentimenti umani, come per ciascuno, anche se talvolta, per la strada scelta in passato, possono portare in luce gli aspetti più negativi, che sono poi gli stessi che un po’ in tutti albergano: invidia, rabbia, arrivismo, gelosia, violenza. C'è un’elevata componente di dolore, ma ecco, poi, l’ironia, l’auto-ironia, il gioco».
E operativamente parlando? «Gli stimoli per scrivere li troviamo dalle cose più varie. Alle volte porto un oggetto, dei bottoni, per esempio, o dei fazzoletti o un cucchiaio o una foglia. L’incontro è allora “contemplare”, dare un’importanza estrema all’oggetto. Questo è lo stimolo esperienziale. Io porto sempre uno stimolo esperienziale e uno di parole. Un'esperienza visiva, olfattiva, di movimento. Lo stimolo deve far vivere una mini-esperienza altrimenti scrivere diventa verbalismo. Dall’esperienza nasce un vissuto e poi, certo, ci vuole anche del linguaggio poetico e allora si lavora su similitudini, metafore, leggendo dei testi di altri. Gli stimoli di parola possono arrivare anche da un autore, da una frase: si trova un proemio e, quindi, si prova un testo con un proemio, oppure una singola parola oppure si parte da un’invettiva, da parole contenute in un testo letto da uno dei poeti ospiti. E i risultati sono belli, tutti molto differenti. C’è questa valorizzazione della differenza: partendo da un unico stimolo – uguale per tutti – si verifica il risultato più diverso. Da questo nasce anche la benevolenza verso gli altri, l’apprezzare la diversità che non è in conflitto con il tuo essere».
La poesia come arma salvifica... «Sono convinta che dentro ogni persona vi sia la possibilità della poesia. La poesia è anche più facile da reggere perché può bastare un’intuizione, un’illuminazione, un sentimento, e si può reggere un breve verso. Per reggere invece un romanzo o un racconto ci vogliono altre abilità. Nel Laboratorio ci sono comunque alcune persone che scrivono racconti. Per molti la scrittura è stata la scoperta di qualcosa che avevano dentro: qualcuno più di una volta è stato sorpreso, si è posto delle domande del genere... “Ma l’ho scritta io questa cosa?”.
«Occorre sempre un momento di fiducia nel proprio sentire dove si tira fuori quello che si prova, poi c’è un lavoro linguistico per plasmare e per dare una forma. Prima c’è la scoperta che la poesia è un modo di vivere, di ascoltare se stessi, di guardare tutte le cose con occhi nuovi. Guardare qualunque cosa in modo interrogativo, in modo nuovo per scoprire. Questa è un'attitudine interiore che serve dentro e poi, di riflesso, anche fuori. Alcuni certo lo fanno in maniera più conviviale... “È bello stare insieme, scriviamo”, poi, una volta lasciata Opera, abbandonano, ma ho la prova di varie persone uscite che hanno continuato a scrivere poesia perché è diventata un modo di vivere. Ogni tanto mi mandano i loro scritti. Con molti rimane un contatto proprio perché è nato come vicinanza umana».
Insomma, nessuna controindicazione, bensì solidarietà e collaborazione... «La Direzione del Carcere (l'attuale direttore è Giacinto Siciliano) apprezza questo lavoro: credo si sia resa conto dell’importanza di aiutare le persone detenute a ricreare un mondo, a occupare il tempo con un pensiero. Io credo che lavorare con la poesia renda l’uomo più buono, sensibile, reale. Spero sia un buon modo di collaborare con le istituzioni e spero si possa continuare sullo stesso sentiero di armonia e disponibilità».
Ci elenca le pubblicazioni nel frattempo uscite? «In un mignolo d’aria, Tempolibro (1999); Vigilando il lavoro dell’orologio, Tempolibro (2000); Le case da lontano, Tempolibro (2004); Confesso che amo. Parole d'amore dal carcere, LietoColle (2006). Dal 2002 inoltre, come detto, esce ogni anno un calendario poetico».
Vale la pena di riportare qui la prefazione, scritta sempre da Silvana Ceruti, del Calendario poetico 2011, cui ha regalato le sue foto africane, per tema l'acqua (dopo il deserto del 2010), Gerardo Mastrullo, editore de La Vita Felice, che con generosità si è prodigato anche per la stampa dello stesso Calendario.
«L'acqua è vita, è il primo elemento che ci circonda nel grembo materno, è l'elemento principale da cui sono costituite le nostre cellule e tutte le forme di vita conosciute. Nella Bibbia è simbolo dello Spirito creatore e rinnovatore. Anche le belle fotografie di Gerardo ci parlano di un'acqua che dà la vita: acqua che scorre placida, a cui si abbeverano animali, che fa fiorire foglie e fiori, che irrompe dall'alto di una rupe e permette l'arcobaleno. Di acqua ha bisogno anche la nostra vita di relazione: di un'acqua trasparente, forte, vivificante come due sguardi che si scambiano reciproco riconoscimento, come una stretta di mano, come un ascolto amico. Io bevo di quest'acqua con i miei amici del Laboratorio di scrittura creativa del carcere di Opera quando ciascuno mette a nudo con fiducia i propri sentimenti, quando ciascuno non ha paura a mostrare la forza di un dolore, o la delicatezza di un ricordo».
Poi, un ricordo e una dedica alla Professoressa Nina Kaucisvili (vedi un precedente articolo in Tellusfolio), intellettuale, autrice, russista di fama e amica del Laboratorio... «Cara Nina, come non pensare a te in questo primo anno in cui hai attraversato la soglia che divide il visibile dall'invisibile? Certo tu stai bevendo di un'acqua nuova; l'acqua a cui anelava la cerva del salmo tu l'hai già raggiunta, ma resta il mistero di questa rottura dei rapporti, dei contatti, almeno quelli visibili, quelli “di carne”, quelli che noi conosciamo e di cui abbiamo bisogno. Cara Nina, ci manchi! L'anno scorso hai scritto sul calendario parole sul fuoco che in certi momenti si accende in Laboratorio, del “fuoco interiore che trasmette ai visi uno splendore che si estende anche all'ambiente e infonde un entusiasmo per la vita che si credeva assopito per sempre”. Cosa avresti scritto adesso dell'acqua? Che in certi momenti, passata attraverso al setaccio doloroso dei sassi, essa sgorga limpida, dolce, rigenerante, nelle parole che nascono in Laboratorio. Ma forse, con la tua foga, ci avresti anche messo in guardia dall'acqua torbida della menzogna, dall'acqua distruttrice della prepotenza, dall'acqua inquinata dell'egoismo. A te, Nina, dedichiamo questo Calendario del 2011.
Ci sia dato quest'anno di condividere con tutti “acqua viva e vivificante”. Che essa distenda le rughe del viso, faccia fiorire il deserto, dentro e fuori di noi».
Per concludere, senza far torto ad alcuno (i componimenti sono tutti di valore e di livello formale adeguato), scegliamo una poesia per stagione:
Gennaio
Se tra i rami di un pruno
s'è perso il senso del vuoto
se il sentiero ha ingoiato i passi
se battendo la lama di ferro
un vecchio parlasse di sé
e il suono di puro metallo
fosse l'eco del cuore.
Questo pensavo
percorrendo la via del sudore
fatta di terra e sassi e asfalto
fra gli arsi campi dell'alto piano
e immense costruzioni di fieno
e chiedevo a mio fratello
se tutta quella fatica avesse un senso
se avremmo trovato un senso
alla fine del cammino di Santiago
Vittorio Mantovani
Maggio
Il manichino
Una giacca
rossa come un cuore estraneo
mi soffoca con dura eleganza
In vetrina vivo all’ombra
delle luci di strada
turbato dallo sguardo violento
e confuso
Lo scandalo è che disprezzo
il mio splendore
mi tormenta
la mia condizione
Muto
tra i miei panni
inghiotto lacrime come capricci di plastica
mentre la gente non crede
alla mia anima
La sensualità
si consuma nel vuoto della sera
quando il mio corpo si rintana
dietro una vecchia saracinesca.
Gimmi Cirino Tropea
Agosto
Vago nel silenzio mentale
liquido trasparente
ascoltando voci affioranti
vedo la Luna
che si fa e si disfa
c'è un sole anche di notte
Enrico Pedrini
Ottobre
Quanta fatica al mattino
ricomporre i pezzi di me stesso
da un mosaico di percezioni negate
Quanto mi costa riannodare i pensieri alla deriva
Una zattera costruirò con cura
da un riverbero di sole
da una stilla di rugiada sulla grata
da una riga nuova che solca la tempia...
Silvano Messina
E la poesia del più giovane...
Dicembre
Al risveglio ho trovato un regalo
ma non conosco il contenuto
è confezionato.
ma non so se l'aprir
e non voglio nemmeno tenerlo
tutto per me.
Forse non lo dividerò con
tutto il mondo,
ma certamente con gli amici.
Moltiplicando la gioia
si vedrà la felicità sulla mia fronte,
che verrà custodita nel mio cuore.
Armando Comberiati
Alberto Figliolia