Il governo cubano non si contenta di deportare i prigionieri politici recentemente scarcerati, ma espelle dalla sua terra anche i resti riesumati di Orlando Zapata Tamayo. Il sistema è sempre il solito: rendere impossibile la vita alla famiglia e subito dopo offrire la soluzione tentatrice dell’esilio. Si replica la consueta ricetta di provocare aggressioni contro persone indifese per presentarsi nel momento migliore e salvarle da orde di esaltati composte da uomini della sicurezza nascosti sotto la maschera del “popolo indignato”.
La stampa straniera accreditata a Cuba, interessata a pubblicare articoli in prima pagina, non perderà l’occasione di intervistare in aeroporto la madre del martire, per rendersi conto che - in ultima istanza - tutti i disordini sono stati provocati solo per ottenere il suo esilio. Con il proposito di organizzare la scena, persone non autorizzate hanno assicurato a Reina Tamayo, che tutto era in regola per farla emigrare negli Stati Uniti, mentre l’Ufficio di Interessi di quel paese non aveva mai ricevuto una richiesta formale per ottenere il visto.
Rappresentanti della Chiesa cattolica cubana hanno contribuito a persuadere la madre di Orlando che tutto fosse pronto per considerare finito il calvario predisposto per lei dalla polizia politica, che ogni domenica organizzava picchetti per impedirle di recarsi al cimitero e alla chiesa di Banes. Hanno assolto Reina dal continuare il sacrificio, le hanno perdonato i peccati e le hanno indicato il cammino contrario a dove si trovava la sua croce. Il giorno della riesumazione del cadavere sarà passato un anno dalla beatificazione di Padre Olallo e dal giorno in cui, in una cella della prigione Kilo 7 di Camagüey, Zapata Tamayo scelse l’immolazione al posto della sottomissione.
Passerà il tempo, un giorno accoglieremo come meritano le scomode spoglie del cadavere di quest’uomo, che non lasciò scritta una sola frase memorabile e non fu leader di nessuno, ma che si comportò in modo tale da farci vergognare della nostra codardia quotidiana.
Reinaldo Escobar
(dal blog Desde aquí – 29 novembre 2010)
Traduzione di Gordiano Lupi