Conserva a tutt’oggi un tratto cupo e severo la città di Tangermünde nella Vecchia Marca di Brandenburgo che s’affaccia sull’Elba. E questo elemento arcano e inquietante s’acuisce se capita, come è successo a me qualche mese fa, di visitarla nell’ora del crepuscolo di un’uggiosa giornata di tarda primavera, sotto un cielo plumbeo che rende ancor più tetro il rosso dei mattoni delle sue mura medievali e delle torri e dei campanili.
Questo elemento vagamente sinistro aiuta tuttavia a inquadrare meglio nel suo ambiente naturale la storia dell’incendiaria Grete Minde, resa immortale in una delle sue prime opere in prosa (scritta nel 1879 e pubblicata l’anno seguente) dal grande narratore dell’Ottocento tedesco Theodor Fontane.
La vicenda della giovane donna che, in preda all’odio, appicca il fuoco a Tangermünde, è ambientata nel XVII secolo e narra la storia di un’adolescente - all’inizio del racconto Grete ha 13 anni - che vive in casa con il fratello maggiore e una cognata che la tratta senza affetto come una subalterna. La ragazza, soprattutto dopo la morte di suo padre, trova comprensione solo presso Valtin, suo quasi coetaneo e vicino di casa, a sua volta vittima di una matrigna che lo trascura. La loro tenera amicizia si trasforma pian piano in un amore profondo, cui la cognata di Grete, sposatasi per interesse, guarda con invidia e acredine. La relazione dei due ragazzi viene in tutti i modi ostacolata, tanto che una notte Grete, esasperata, fugge di casa con il suo innamorato, provocando uno scandalo.
Dopo tre anni di vita felice e vagabonda al seguito di una compagnia di burattinai, la giovane coppia, che nel frattempo ha avuto un bambino, viene colpita dalla disgrazia: Valtin si ammala gravemente e muore. Prima di esalare l’ultimo respiro, prega però la compagna di compiere un gesto d’umiltà, ossia di far ritorno a casa e chiedere ospitalità e protezione a suo fratello. La giovane madre supera la propria resistenza e accondiscende, ma suo fratello non la riaccoglie in casa e le nega anche ogni aiuto per il bambino.
A quel punto Grete pretende di avere almeno la parte dell’eredità dei genitori che le spetta, ma perde il processo contro il fratello imbroglione che, con carte false, dimostra che la sorella non ha diritto a nulla. In preda alla disperazione, la giovane, per vendicarsi dà fuoco alla città, e mentre le fiamme divampano, sale sull’alto campanile della chiesa di Santo Stefano, che, crollando, la trascina nel vuoto insieme al suo bambino.
Non c’è dubbio che la simpatia dell’autore - come in molte sue altre opere che, analogamente, portano come titolo un nome femminile (si pensi a Stine o alla più famosa Effi Briest) - vada a questa donna che ha il coraggio di opporsi alle ingiustizie che è costretta a subire, anche se alla fine resta vittima di una società più attenta alle forme che alla verità profonda dei sentimenti e delle azioni.
Fontane, maestro della ballata storica oltre che del romanzo breve, fonda il suo racconto su un fatto di cronaca avvenuto a Tangermünde nel 1617 e documentato da alcune carte conservate nell’archivio municipale. Allora un grande incendio investì la città, distruggendo anche gran parte della chiesa di Santo Stefano. Nella caccia alle streghe che seguì l’evento, fu scelta come capro espiatorio una ragazza probabilmente del tutto innocente, vista come “diversa” e destabilizzante solo perché figlia di madre cattolica e di padre protestante, condannata prima al pubblico ludibrio e poi brutalmente torturata e assassinata nel 1619.
Pur basandosi sui documenti storici, Fontane fa della protagonista del suo racconto una donna che, nel vano tentativo di vendicarsi di un mondo intriso di ipocrisia e pregiudizio che ha calpestato tutti i suoi diritti, si rifugia alla fine nell’aggressività e nella follia distruttiva. La novella, in un costante altalenare fra realismo e visione, fra lucida relazione di fatti concreti e momenti di sottile scandaglio psicologico, fra toni da arido resoconto e tocchi di romantico idillio, evidenzia il duplice talento, lirico e narrativo, del farmacista-scrittore Fontane, al quale la Marca di Brandeburgo fornì materiale inesauribile per un gran numero di ballate e opere in prosa.