I referendum lo hanno dimostrato,
le mamme e le nonne
sull'antiproibizionismo
sono più avanti della politica italiana
Era il 12 ottobre 1997. Con il fiato in gola cercavo un telefono pubblico per chiamare mia madre. Ero appena stata rilasciata – dopo il sequestro della “sostanza”, l’identificazione e la denuncia per violazione della legge sulle sostanze stupefacenti – dalla Questura centrale di Roma e immaginavo che i telegiornali avessero già diffuso la notizia della disobbedienza civile di Marco Pannella e dei radicali in Piazza Navona. Trovo il telefono, chiamo mia madre che risponde subito con voce squillante senza farmi fiatare “ho visto tutto alla televisione, so tutto e ho capito perché lo hai fatto!” Quando Marco ripete che sono state le nonne ad aver compreso per prime il divorzio e l’aborto e a far vincere all’Italia quella battaglia che molti intellettuali davano per persa e prematura, ripenso a mia madre allora ultrasettantenne, che per suo conto aveva intuito il significato della lotta antiproibizionista.
Oggi le cose non sono diverse dagli anni settanta quanto a maturità del popolo italiano. La diversità di allora con ora è che gli italiani hanno sulle loro spalle – e questo peso rischiano di trasmetterlo alle nuove generazioni in termini di scoramento e sfiducia – decenni di smantellamento del voto popolare e referendario, decenni di tradimenti, di menzogne, di falsità propagandate sguaiatamente da un sistema partitocratico che, per salvare se stesso e perpetuarsi, non ha esitato a far pagare ai cittadini prezzi pesantissimi in termini di diritti e di libertà civili che necessariamente si fondano sulla responsabilità della persona. Si può ripartire con la lotta? Io credo di sì. Innanzitutto perché è un dovere nei confronti dell’intelligenza che non possiamo sacrificare sull’altare dell’ipocrisia di chi – per ottusa convenienza personale – sta consegnando questo Paese nelle mani della criminalità mafiosa che sempre più si confonde fino a divenire un tutt’uno con la criminalità politica.
Semplici elementi ci aiutano a comprendere la realtà: 4 milioni di consumatori di sostanze rese illegali – e perciò incontrollate – dal proibizionismo; l’equivalente di tre o quattro finanziarie ogni anno di fatturato della criminalità organizzata che ha la necessità spasmodica di convertire questi profitti in attività lecite; decine di migliaia di agenti delle forze dell’ordine impiegate nell’attività di contrasto allo spaccio e al consumo; ventottomila tossicodipendenti nelle carceri; 15.923 segnalazioni ai prefetti in un anno con annesse pesanti sanzioni amministrative; tribunali sommersi di procedimenti penali e famiglie distrutte per affrontare i processi; fondi drasticamente tagliati per la cura dei tossicodipendenti. Ce n’è di che per non dismettere una lotta che richiede informazione, conoscenza, ragionamento e non slogan inefficaci in termini di deterrenza e dannosi tanto quanto il proibizionismo che li ispira come “la droga fa male”.
Rita Bernardini
(da Agenda Coscioni, novembre 2010)