Più che di riforma della professione forense, di controriforma si dovrebbe parlare, visto che invece che andare nella direzione di una regolamentazione maggiormente liberale e aperta al mercato, la norma va verso una ulteriore chiusura della corporazione, riuscendo a colpire e danneggiare sia gli interessi dei consumatori che quelli dei giovani avvocati, restringendo l’accesso alla professione e impedendo una concorrenza che avvantaggerebbe i professionisti migliori. L’esistenza di un ordine, che di fatto limita l’accesso alla professione e la concorrenza, può essere giustificata solo in funzione di un pubblico interesse, se invece prevale l’interesse per la stessa categoria è nei fatti un ostacolo al pubblico interesse. Un testo che il Senato non è riuscito a migliorare, dato che era l’impostazione a non reggere.
Troppo elevato è il numero degli avvocati, oltre 130 mila, eppure continua a crescere la domanda di consulenza legale e stragiudiziale. Il cittadino, l'impresa si rivolge all'estero e si rivolge ad altro che agli studi legali, ma se questo mercato cresce non dovrebbe preoccupare il numero degli avvocati, perché dovrebbe interessarci la qualità dei servizi offerti agli utenti. E questo disegno di legge compie il percorso esattamente inverso, cerca di spartire la torta del mercato delle consulenze legali e stragiudiziali, oltre a quello dell'assistenza legale, agli avvocati già presenti, impedendo e ostacolando nuovi accessi e impedendo a chiunque la consulenza stragiudiziale, come nel caso delle agenzie di infortunistica stradale che dalla mattina alla sera verranno chiuse. L'alternativa a questo intervento statalista e corporativo, non è la giungla, ma le regole, la trasparenza e la concorrenza di un mercato che funzioni come nei paesi europei.
Donatella Poretti