Si è spento a Vienna il compositore ungherese Gyorgy Ligeti. Nato nel 1923 da una famiglia di ebrei ungheresi subì la persecuzione dei nazisti e perse gran parte della famiglia nei campi di Bergen-Belsen. Fuoriuscito dall'Ungheria prima della repressione sovietica del 1956 si stabilì a Vienna, dove ottenne la cittadinanza austriaca.
La sua importanza in ambito compositivo è dovuta alla particolare capacità di costruzione di micropolifonie, il cluster sound, note a grappolo capaci di aprire squarci lirici e atmosfere senza tempo. La fuga in occidente mise il compositore a contatto con i fermenti ed i personaggi che stavano sperimentando nuove idee e nuove sonorità: dalla frequentazione e dall'incontro con Stockhausen, Berio, Nono, Boulez e Xenakis nascono opere importanti, da Musica ricercata a Le grand macabre.
Una spinta decisiva verso la conoscenza delle sue opere Ligeti la ebbe da Stanley Kubrick, suo fervente ammiratore. È infatti possibile ascoltare diversi brani di Ligeti in alcuni film del regista inglese: la meravigliosa “Lux Aeterna” in 2001 Odissea nello spazio. Memorabile poi la sequenza di piano ostinato tratta da “Musica Ricercata” che compare in Eyes wide shut. Altri brani compaiono in Shining e nel documentario uscito dopo la morte di Kubrick, A life in picture.
Vorrei ricordarlo, da fervente ammiratore, rileggendo i passi salienti di una intervista concessa dal maestro nel 1998 a Jazz Magazine ad opera di Benoit Delbecq. Nel libretto di una edizione integrale degli Etudes pour piano Ligeti scrive che punti di riferimento di grande importanza sono stati per lui Bill Evans e Thelonious Monk. Ma leggiamo direttamente dalla sua viva voce: «Nella sfera del jazz Evans e Monk sono i miei preferiti dal punto di vista del tocco e della poesia. Nel jazz ci sono dei grandi virtuosi, come Oscar Peterson, Art Tatum, Albert Ammons o James Johnson, che mettono in opera una sorta di poesia della velocità. Possiedo il disco in duo di Herbie Hancock con Chick Corea: ci sono delle poliritmie incredibili, con sottili decalage basati su una perfetta conoscenza della musica latina e afro-americana. È uno dei miei dischi preferiti. Ma i grandi poeti del jazz sono altri, Monk come compositore, e per il tocco sublime Bill Evans, una sorta di Arturo Benedetti Michelangeli del jazz. Monk non aveva una grande tecnica, un po' come Duke Ellington, ma è da lui che proviene la musica più bella».
La domanda più stimolante di Delbecq viene alla fine: «Quale posto riservare al jazz nella storia della musica del ventesimo secolo?»
Illuminante la risposta di Ligeti: «Un posto importante, forse il più importante. Il jazz è arrivato ed ha imposto una combinazione di influenze inedite e tutte mescolate tra loro: la prima espressione musicale totalmente multi-culturale».
Non solo un compositore illuminato, ma anche un attento studioso delle musiche del Novecento, questo era Gyorgy Ligeti.
Roberto Dell'Ava