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Marta Pacini. Homo (non) faber
17 Novembre 2010
 

Patrizia Garofalo presenta Marta Pacini vincitrice del primo premio al concorso "La scienza narrata" indetto dall'accademia Merck Serono delle biotecnologie.

Come la sorella Lorenza, giovanissima e molto profonda.

 

 

HOMO (NON) FABER

 

 

I

 

Se ci fossero loro, qui dentro, decisamente non parlerebbero come parlano. Se ci fossero loro, qui dentro, forse qualche sintagma dei loro libroni suonerebbe diverso.

Se loro fossero me non respingerebbero con tanta sicurezza l’aiuto di Michela, quand’esso fosse vitale per il raggiungimento della felicità.

Già, non lo dicevano proprio loro, o qualcuno come loro, “la vita, la libertà e la ricerca della felicità”? Sì, ma quando i principi bisogna applicarli è un’altra faccenda, vero?

Gli umani sono ipocriti, titubanti, fai quel che dico ma non quel che faccio. Madre Natura avrebbe dovuto programmarli secondo leggi matematiche più precise.

Come quelle delle fasi lunari, per esempio. Quella velocità, quei giorni. Nulla è lasciato allo sbando; gli umani sì, si muovono su binari sempre curvi, non conoscono il rettilineo né le proporzioni, si trovano ad essere gli artefici di se stessi ma non ne sono capaci.

 

 

II

 

C’è stato un tempo in cui tutto era bello. Anna e Pietro erano una delle tante coppie felici su questa Terra. E poi quella voglia, quella stramaledetta voglia d’avere figli.

Tutti noi abbiamo desideri: il bimbo smania per un giocattolo, la ragazzina per un vestito, il vecchio accaldato per un po’ d’ombra. Perché la giovane coppia decide ad un certo punto di precludersi la possibilità del cocktail con gli amici ogni sera e comincia a parlare di figli?

Anche quaggiù era tutto felice. Di colpo, un fremito, ed ecco l’insoddisfazione farsi strada. Maledetto il dio che ci ha legate al volere di questa donna, con un guinzaglio di seta più resistente dell’acciaio.

 

Anna e Pietro lo fanno quasi ogni sera, la loro unione è ancora giovane. Qualche secolo, qualche secondo, e tutto freme quaggiù; in quei momenti è raro che Anna riesca a rattristarsi per il mancato bambino. Raggiunge l’apice, si bea d’esistere; ma qualcosa d’ignoto è presente per negarmi lo stesso godimento.

Madre Natura o chicchessia ci ha condannate alle medesime pulsioni di questa donna, ma senza curarsi della loro mancata soddisfazione. Anna ha a disposizione, al proprio fianco, un uomo che appaghi il suo desiderio d’essere penetrata; del mio non importa a nessuno, e mi condannano a restare qui, inerte, a rodere il mio tempo inutile e limitato ed a sperare invano di veder arrivare, ansimando, una truppa di spermatozoi, per poter provare finalmente la gioia d’incoronare il più valoroso dei soldati, sciogliere le sue tensioni nel mio abbraccio, farlo entrare in me.

 

 

III

 

Se fermate un passante qualunque per la strada e gli chiedete dove risieda l’identità di una cellula, non avrà dubbi a rispondervi: nel nucleo.

Bella merda. Certo, sono io, il nucleo, che ti dico se i tuoi capelli somiglino di più al giorno o alla notte. Sono io, il nucleo, che racconto la storia degli incroci, che ti ricordo da dove vieni. Sono io, in effetti, che ti dico chi sei.

Ma le convulsioni di Anna, e le strane vicende del suo cervello, non le ho decise io. Non sono scritte in me.

C’è un rivale al mio DNA, al DNA di Anna. È qui, è nelle altre cellule, sta alle costole del DNA vero, quello di noi nuclei, come se volesse soverchiarlo, prenderne il posto. È venuto da fuori, tanto tempo fa, offrendo i propri servigi, ed è stato accolto con calore; ma è infido, e qualche volta alza un po’ troppo la testa ed avvia una ribellione difficile da fermare.

Eccoli lì, con la loro aria innocente, i mitocondri. Direste che nascondono dei disertori?

Mi piacerebbe estirparli con le mie mani, se ne avessi. Ma così facendo determinerei la mia stessa morte. È snervante che questi parassiti siano così maledettamente indispensabili.

Ci sputerei sopra, a quella loro aria indifferente. È per colpa di quel loro maledetto DNA alternativo che Anna e Pietro hanno deciso di non avere figli, sapendo già che nascerebbero malati. Una scelta saggia, come dar loro torto? E intanto io me ne sto qui, vana maschera di fertilità su questo triangolo arido. Cosa ci sto a fare? Tanto varrebbe non esserci, mi eviterei tutti questi desideri senza speranza.

Ma noi cellule, noi ovuli, noi nuclei siamo stati dotati soltanto di un pensiero subordinato a quello degli umani. I nostri pensieri non possono essere che il riflesso o la limitata conseguenza di quelli dei nostri padroni. Certo, mi rendo conto di vivere, ma solo quando Anna lo vorrà potrò davvero desiderare di morire.

Per ora mi è dato esclusivamente di sognare lo zigote che non diventerò, bestemmiando i mitocondri e l’incomprensibile capacità umana di svuotare l’atto sessuale della sua goccia di vita, per farmi percepire con ancor più bruciore la stupidità del mio essere.

 

 

IV

 

Michela è sempre stata la migliore amica di Anna. La classica amica del cuore, fin dalle elementari. Avete presente quelle persone sulle quali si può contare sempre, che anche se non le vedi per un po’ sai che sono sempre lì, e che ti sorrideranno al prossimo incontro? Ecco, questa è da sempre Michela.

Quando Anna e Pietro hanno cominciato a desiderare un figlio è stata lei la prima persona a cui Anna l’ha raccontato. Ed a lei per prima Anna ha raccontato perché non avrebbero potuto averlo.

Michela ha subito offerto il proprio aiuto. “Qualsiasi cosa io possa fare”, ha detto. È una frase comune, ma era vera.

Peccato che non ci sia nulla che lei possa fare. Magari altrove, ma non qui.

 

Il professor Berti è un vecchio amico del padre di Pietro. Ha parlato con lui ed Anna, li ha compatiti e consolati. Ha detto che si potrebbe prendere un ovulo di un’altra donna, togliergli il nucleo, impiantarvi il nucleo di un ovulo di Anna – cioè me – ed eccoti una cellula sana, pronta per essere fecondata. Il viso di Anna si è illuminato, e Michela, ché era lì anche lei, è subito intervenuta: “Si può prendere il mio”.

Il professor Berti ha sorriso, ma gli altri hanno percepito nell’aria attorno a lui qualcosa di sbagliato. Poi ha aggiunto: “Ma la legge non lo consente”.

 

Ormai l’ho imparato anch’io, Anna continua a ripeterselo, ad intervalli più o meno regolari, con punte la sera e la mattina presto, quand’è ancora nel letto. Legge del 19 febbraio 2004, numero 40, capo II, articolo 4, comma 3: È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

 

Marta Pacini

Liceo Ginnasio “Beccaria”, Milano


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