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Gordiano Lupi. Una vita nel mistero 
Il primo lungometraggio di Stefano Simone
12 Novembre 2010
 

Origine: Italia. Anno di produzione: 2010. Durata 86’. Genere: Drammatico. Formato: 16:9 widescreen (1.77:1). Audio: Stereo PCM. Regia: Stefano Simone. Soggetto e Sceneggiatura: Emanuele Mattana. Musiche: Luca Auriemma. Fotografia e Montaggio: Stefano Simone. Costumista: Dora De Salvia. Produzione: Jaws Entertainment. Interpreti: Tonino Pesante, Dina Valente, Francesco Granatiero, Don Antonio D’Amico, Cosimo S. Del Nobile, Lello Castriotta, Amilcare Renato, Grazia Orlando, Sabrina Caterino.

 

 

Stefano Simone debutta con un lungometraggio incoraggiante dopo le buone prove registrate in alcuni corti horror - thriller come Kenneth (2008) e Cappuccetto Rosso (2009).

Una vita nel mistero è un film difficile che parla di fede, speranza, amore coniugale ed eventi miracolosi, ascrivibile al genere drammatico, sostanzialmente religioso, ma ricco di effetti speciali e di rimandi alla cinematografia di genere italiana. “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”, è la citazione filosofica presa in prestito da Blaise Pascal per introdurre lo spettatore in un’atmosfera misteriosa. Simone dirige con semplicità e sicurezza una storia sceneggiata in maniera lineare da Emanuele Mattana, senza omissioni e imperfezioni, che ha il solo limite di alcuni dialoghi troppo impostati.

La storia racconta l’amore di una coppia borghese che travalica la vita terrena, i piccoli gesti di tenerezza del marito, la grande fede che unisce entrambi, gli eventi miracolosi che portano prima a una guarigione inspiegabile e quindi alla morte della donna. La pellicola racconta per immagini, tra dissolvenze e visioni suggestive, per una precisa scelta del regista che ricorre al dialogo solo quando non ne può fare a meno. La colonna sonora di Luca Auriemma è fondamentale nell’economia del film, a tratti pare ispirarsi alla musica sacra e riproduce un crescendo di tensione nei momenti decisivi della storia. Simone è bravo anche nel montaggio, perché il film gode di buona tensione - pur non essendo un thriller - e lo spettatore segue con trasporto la vicenda. La fotografia è un ulteriore punto di forza che induce ad apprezzare paesaggi marini di Manfredonia e suggestive ambientazioni campestri. La fotografia e la musica sono un mix interessante, studiato nei minimi particolari, una vera e propria fusione di sonorità e immagini priva di sbavature. Lo stile di regia è sobrio ed essenziale, Simone guida gli attori con sicurezza e i due protagonisti (Tonino Pesante e Dina Valente) recitano con bravura, pure se risentono di un’impostazione squisitamente teatrale.

Stefano Simone mette in pratica tutta la sua conoscenza del cinema fantastico, dimostrando di aver appreso la lezione di Michele Soavi e del suo San Francesco televisivo. Simone è consapevole che non esiste tematica più fantastica che raccontare i miracoli di un santo, per questo guida la macchina da presa alla scoperta di pendole che si fermano, asciugamani che assumono forme surreali, nubi che disegnano lotte tra bene e male, fotografie impressionate da eventi anomali e volti di Padre Pio ricavati da molliche di pane. I tempi del film non sono dilatati, se escludiamo qualche passeggiata di troppo e un paio di sequenze inserite per raggiungere i tempi canonici di un lungometraggio. Simone riesce a fondere una forte tematica minimalista come quella dell’amore coniugale con elementi visionari, onirici e fantastici. Non era un compito facile. Sembra che il giovane regista pugliese abbia studiato a fondo il cinema di Ingmar Bergman, soprattutto Scene da un matrimonio (1973), ma anche altre pellicole del grande svedese intrise di elementi fantastici. L’incontro del vecchio sulla panchina del parco che si ripeterà in un vicolo oscuro della città rappresenta un importante momento di tensione e lascia indecisi sulla sua natura soprannaturale. La finestra che si apre, la candela che si spenge, la rivista che si sfoglia da sola sono una serie di episodi che servono a far capire l’evento miracoloso. Vediamo l’immagine di un cuore ricavata da una goccia di caffè, il fazzoletto piegato che sembra un angelo, il telefono che squilla a vuoto. Il fantastico è fuso con un tenero amore coniugale, ricco di fede (sarà lui a darci la forza, non ci abbandonerà), preghiera e devozione a Padre Pio. Simone è consapevole di girare cinema religioso, ma non lo rende stucchevole e pietistico, la sua è una religiosità pasoliniana fatta di piccoli gesti quotidiani e di grande amore per la vita. Il santo vive insieme alla coppia e lotta al loro fianco contro il male, salva la donna dalla morte per tumore, ma in seguito non può evitare che venga fatta la volontà divina. Nella parte finale apprezziamo alcune scene di puro cinema horror che Simone inserisce con bravura. In un negozio di scarpe appare e scompare un frate fantasma, personificazione della morte, che successivamente torna a sconvolgere i sogni di moglie e marito. La parte onirica che porta alla morte della donna è ben fatta, possiamo dire che si tratta di ottimo cinema fantastico ricco di suggestioni orrorifiche. Vediamo il male che lotta contro il bene, ma questa volta Padre Pio non può sconfiggere la morte perché l’ora della separazione terrena è giunta. Gli effetti speciali sono ottimi, la scena madre colpisce a dovere e lascia in sospeso lo spettatore sui motivi del decesso. Rivediamo il marito al cimitero mentre compie i gesti d’un tempo e compra rose rosse per la moglie scomparsa. Ritorna il frate, rappresentazione della morte, segue l’uomo nel parco, scompare e infine si allontana nel sole. “Dio è ovunque”: una religiosità francescana mostra l’immagine di Padre Pio anche nel pane quotidiano. La solitudine del protagonista è totale, anche se resta il ricordo della moglie, unito al grande amore per la fotografia e a una fede potente. Una vita nel mistero è un buon lavoro di esordio che fa ben sperare per le future prove di Stefano Simone, regista caratterizzato da una marcata vena horror-fantastica. Il giovane regista pugliese ci consegna un’opera che va oltre le classificazioni di genere, utilizza momenti onirici e visionari, ma riesce anche a far pensare.

 

Gordiano Lupi


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