La risata, la presa in giro e la canzonatura sono state terapie collettive in un’isola dove la frustrazione e la non conformità vengono esorcizzate ricorrendo all’umorismo. Ridere di noi stessi è cosa salutare, ma ci divertiamo a scagliare i dardi dello scherzo anche contro chi ci governa, come di solito facciamo nell’intimità della famiglia o in una ristretta cerchia di amici.
Mettiamo soprannomi, cerchiamo similitudini comiche tra le varie figure pubbliche, collezioniamo barzellette e liberiamo la risata in un gesto quasi sempre più triste che allegro. Alla fine, quando il riso si stempera, abbiamo più motivi per piangere che per essere contenti.
Il bambino terribile
La tendenza nazionale allo scherzo si è concretizzata nel personaggio di un bambino piccolo, un eterno scolaro che fa domande scomode. Pepito, la figura principale di molti nostri racconti satirici, ha la lingua affilata e le tasche rotte. Le sue storie circolano in clandestinità, si diffondono di bocca in bocca e ognuno aggiunge un nuovo dettaglio, un pizzico di pepe alle avventure di questo ragazzaccio. Da quando ho l’uso della ragione sento parlare di un monello protagonista di quasi tutte le nostre barzellette.
Pepito è stato sulla Luna quando l’Unione Sovietica e Cuba hanno lanciato la loro prima missione congiunta nello spazio, si è trovato con Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita all’Avana e giura di essere entrato nel bunker segreto dove Fidel Castro ha trascorso la sua convalescenza. Pepito è stato in ogni luogo e in nessuno.
La verità in burla
La forza di questo bambino terribile è data dalla sua capacità di dire ciò che pensiamo, ma non osiamo esprimere. Pepito è la vera Cuba, senza maschere, senza doppia morale e senza simulazione. I suoi aneddoti raccolgono le mancanze quotidiane, le lunghe code, la regola consueta del mercato razionato: “oggi non ti spetta, oppure ti spetta ma non c’è”.
La sua famiglia è complessa e soffre gli stessi problemi abitativi che hanno centinaia di migliaia di compatrioti. La scuola è il luogo dove interpreta le sue più simpatiche scenette, quando alza la mano e la maestra sa che non può dargli la parola. Non importa, Pepito se la prende e davanti a un ospite importante dice tutto quello che - come sua madre gli ha ripetuto migliaia di volte - non dovrebbe dire in pubblico.
Ricordo che una volta, sulla lavagna di un’aula immaginaria misero la foto di un presidente nordamericano, e la maestra accompagnò l’immagine con la frase: “Per colpa di quest’uomo abbiamo tanti problemi economici”. Quando chiese se qualche alunno sapeva chi fosse, il braccio del piccolo canzonatore non si fece attendere. Finalmente, anche se nessuno gli aveva detto di parlare, Pepito lanciò dall’ultimo banco il suo grido trionfale: “Certo che lo so, maestra! Ma senza barba non l’avevo riconosciuto”.
La fine della barzelletta vede la consueta espressione infuriata della professoressa e uno scappellotto sulla testa del ragazzino indiscreto.
Caro burlone
Con ironia, lo scaltro bambino dei nostri racconti ci ha messo in guardia in merito a un’ombra inquietante che proveniva dal Cremlino, è stato un balsero che attraversava lo stretto della Florida in compagnia degli squali e si è burlato della lucertola che sua madre gli metteva nel piatto durante gli anni più difficili del Periodo Speciale. Niente sarebbe stato uguale senza Pepito, perché la sua presenza ha evitato che i momenti duri avessero un aspetto più drammatico.
Tutti ricordiamo la storiella della sua visita all’inferno dove si rendeva conto che, come nel socialismo cubano, l’olio bollente scarseggiava, le macchine per pungere non avevano pezzi di ricambio e i demoni facevano la siesta durante l’orario di lavoro. Pepito è andato a bussare persino alle porte del cielo, ma San Pietro non ha voluto aprirle sostenendo che se avesse fatto entrare quel piccolo cubano, il consolato celeste sarebbe stato sommerso di richieste. Pepito si è preso gioco delle cose più dolorose che ci riguardano, ma nonostante tutto le sue battute ci piacciono troppo!
È finito l’umorismo di Pepito?
Proprio quando pensavamo che questo scolaro dalle uscite imprevedibili ci avrebbe accompagnato per sempre, Pepito ha cominciato a languire. Le sue barzellette si sono diradate, le battute hanno cessato di rinnovarsi e nelle strade si sono cominciate ad ascoltare soltanto vecchie storielle riadattate alla situazione attuale. Allora sono emerse le teorie - ovviamente comiche - su cosa stesse accadendo a quel bambino terribile che tanto aveva riso, sia nella buona che nella cattiva sorte.
L’umorismo nazionale veniva a mancare? Non esistevano più motivi per continuare a scherzare? Sono cominciate a circolare alcune storielle per sostenere che Pepito era stato incarcerato per delitti di lesa ilarità, che finalmente la lunga mano della censura aveva chiuso la sua bocca o che aveva deciso di mandare in esilio le sue battute. La maggior parte di noi sapeva bene che la fine delle barzellette di Pepito era provocata da qualcosa di più tragico: un’angoscia prolungata colpiva il nostro umorismo e le difficoltà quotidiane impedivano di prendere la vita con sarcasmo.
Con i tempi che corrono è diventato sempre più difficile ascoltare qualche storiella di Pepito, quindi facciamo a meno delle sue salaci battute. Ogni giorno mi sveglio pensando che la burla tornerà di nuovo a far parte della nostra vita, sotto forma di un bambino ribelle che non rispetta niente e nessuno.
Yoani Sánchez
(da El Comercio, Perù, 31 ottobre 2010)
Traduzione di Gordiano Lupi