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Rosario Amico Roxas. Il cattolicesimo di Ratzinger
07 Novembre 2010
 

L'insistenza del pontefice, ancora espressa nella cattolicissima Spagna, delle “radici cristiane dell'Europa”, documenta la pretesa massimalista di una superiorità culturale del cristianesimo che limita la dimensione della Fede, non più universale ma ristretta nell'alveo transnazionale di un Occidente pretestuosamente elevato al rango di cultura leader del pianeta.

Il ruolo della fede diventa marginale, come un corollario alla storicizzazione che trascina l'immagine di Dio dentro i fenomeni e gli eventi umani.

La demolizione della soggettività operata da Benedetto XVI, fatta per esaltare la dipendenza dall'autorità (per questo piace tanto a questo presidente del consiglio, che si piega -e non solo materialmente - in ipocriti baciamano), finisce con l'annullare l'individuale distinzione tra “interno ed esterno”, in quanto aderente ad un meccanismo di rispondenza tra apparati sensoriali, che suggeriscono comportamenti positivisti, informazioni funzionali, tutti mirati alla sopravvivenza e alla riproduzione; per tutto ciò che di interno potrebbe risultare desiderato, interviene il potere a indicare e risolvere il metodo.

L'impatto con questa esaltazione del senso comune e del senso pratico non distingue il credo religioso, per questo viene indicata l'inalienabile radice cristiana dell'Europa, come carattere antropologicamente distintivo, assimilabile ai tratti somatici distintivi delle razze.

Viene, implicitamente, esaltata l'abitudine a non pensare, a non riflettere, a non credere, a non sperare, che viene presentata come il culmine del nuovo progresso che riduce l'uomo alla stessa stregua delle formiche o delle termiti, impostando l'intera vita senza un perché, sostenuta solo dall'istinto di sopravvivenza.

Anche la scienza non lascia spazio al voler pensare, al voler riflettere, al voler credere, al volere sperare, e ci indica, impietosamente quali molecole stimolino il pensiero, la ragione, la riflessione, la fede, la speranza e l'amore, ma non ci dice PERCHE' abbiamo pensato, creduto, sperato, amato.

L'aiuto per tornare a credere, a pensare, ad amare non può darcelo nessuno, violentati come siamo dalla pretesa onnipotenza del nuovo pragmatismo, che svuota l'uomo, ma riempie le cantine della Coscienza con gli ultimi ritrovati dell'inutile progresso.

Le parole non esprimono più sentimenti profondi in grado di commuovere, esaltare, illudere (forse), ma in ogni caso vivere.

Non possiamo cercare aiuto nei nuovi mentori del vero, in quegli opinionisti tuttologi condizionati dal conformismo e dal servilismo verso il potere.

La storicizzazione della fede, implicita nel tentativo di storicizzare la divinità di Cristo, non eleva una superstizione in certezza, ma scardina tutto il contenuto culturale sul quale è cresciuto l'Occidente. La strada che Ratzinger vuole dare alla cultura della fede è quella indicata dal “pensiero nordico”, in senso geopolitico, che si contrappone alla tradizione mediterranea, quella delle grandi religioni monoteiste, che non si pone nemmeno il problema di perdere la trascendenza a vantaggio di una pagina di storia.

Così si ripropone il problema di Dio e della sua configurazione, che nel pensiero nordico è scientista, probabilistico, pratico, mentre nella cultura mediterranea si è sempre nutrita del rapporto con il sacro, con il mistero.

Proprio dentro questo equivoco si innesta anche l'ultimissimo incontro tra i due sovrani assoluti: Ratzinger e Berlusconi, che si incontrano sul terreno del positivismo, delle apparenze, dove non è l'uomo a fare da sfondo.

Sfugge, a entrambi i sovrani la profonda differenza che esiste tra l'essere umano e l'essere vivente.

L'essere umano muore, ma spesso si tratta di morte provocata dai mali che l'uomo stesso provoca, mentre l'essere vivente non muore, si trasforma, senza possedere la rappresentazione della propria fine. L'uomo, invece, percepisce il senso della sua fine, o almeno dovrebbe, come momento supremo in cui viene messo in discussione tutto ciò che ha fatto.

Torna imperioso il problema di Dio, e non per chiarire se si tratta di superstizione o fantasia o invenzione, quanto piuttosto indagare se l'uomo può fare a meno del sacro, se può convincersi ad essersi autoprodotto, o di essere il frutto della emergenza di un processo naturalistico, financo storicizzato e in quanto tale, privato definitivamente del sacro.

 

Rosario Amico Roxas


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