Sventata la possibilità che in apertura del festival della canzone italiana fossero diffuse le note e le parole di “Bella ciao” e “Giovinezza”, Gianni Morandi ci fa sapere che l'apertura sarà resa solenne dall'inno di Mameli.
Noi non siamo fan di questo festival e della sua presunta capacità di creare e comunicare arte e musica. Il nostro interesse è meramente economico, cioè come vengono utilizzati i soldi dei contribuenti che, da diverse parti e per diversi motivi, piovono a fiumi in un evento del genere. Soldi su cui è doveroso “fare le bucce” perché, per gli amanti del genere, si tratta anche di trasmissione Rai che occuperà diversi giorni in prima e seconda serata.
Il tentativo futurista di aprire con “Giovinezza” e “Bella ciao” era assurdo e improponibile (soprattutto per “Giovinezza”), ma sicuramente una proposta artistica che sparigliava schemi tradizionali, pur andando ad ammarare in una pacificazione nazionale di cui nessuno -tranne alcuni sparuti nostalgici della loro... giovinezza- sente necessità. O c'è qualcuno che crede che in termini culturali esista ancora una contrapposizione tra fascisti e antifascisti? Suvvia.
Ebbene, al serioso richiamo da parte del Cda della Rai ecco che arriva Mameli.
Festival di Sanremo come un congresso del Pd o del Pdl, o come la commemorazione dei caduti in guerra o i funerali dei vari caduti italiani nelle missioni internazionali. Dall'arte futurista e impossibile al ridicolo, il passo è stato breve. Vediamo già milioni di italiani che, a casa loro, in piedi davanti alla tv, con la mano sul petto rendono onore all'apertura del festival della canzone italiana, e col cuore gonfio, deglutendo mentre trattengono il magone si siedono accanto all'intera famiglia per deliziarsi delle grazie di una musica che, dopo una settimana, nessuno ricorderà più, e che non udiranno mai nei fischietti del mitico panettiere che in bicicletta consegna la sua merce e che ha reso celebri i brani cantati dai vari Domenico Modugno, Claudio Villa, Gianni Morandi, etc.
Dopo che ci siamo divertiti a presentare il quadretto della famiglia italiana che gli organizzatori del festival credono sia quella reale (ma dove vivono?), torniamo al motivo che ci sta facendo pigiare i tasti del computer: è questo il modo di usare i soldi degli italiani? È questa la cultura che ci vogliono trasmettere? È questa l'arte che dovrebbe renderci la vita più bella, serena e felice? Noi non crediamo di vivere in un'altra Italia, per cui il problema crediamo che sia l'altra Italia in cui vivono e ci prendono in giro coloro che sono demandati all'uso della cosa pubblica. E poi si lamentano che gli italiani, sempre di più, non vogliono pagare il cosiddetto canone della Rai: se tanto mi dà tanto -pensa e mette in pratica più di un terzo degli italiani- conviene essere evasori fiscali che non complici di questa schifezza.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc