Ferdinando Castelli
Dio come tormento
Da Dante a Julien Green,
scrittori di fronte al mistero
Àncora, collana “Maestri di frontiera”, Milano 2010, pagg. 224, € 16,00
«L’idea di Dio è inestirpabile, perché in fondo è la Presenza stessa di Dio nell’uomo. Sbarazzarsi di questa presenza non è possibile» (H. De Lubac, citato nel libro a p. 6). Questa, in sintesi, la convinzione di Ferdinando Castelli, che, con la sua vitalità novantenne, continua a scandagliare l’animo dei grandi scrittori, il loro senso religioso, nascosto a volte in pagine inquietanti e dissacranti. Un lungo lavoro di ricerca raccolto in molti libri, tra cui spicca la fortunata e fondamentale trilogia Volti di Gesù nella letteratura moderna.
I poeti e i narratori veri, partendo da esperienze e posizioni anche diversissime, scavano il senso della propria esistenza e non possono sfuggire il problema di Dio. Le loro domande, i loro dubbi, slanci e ribellioni ci fanno da specchio, ci costringono a far emergere le nostre domande. Il “problema” di Dio è anche un problema nostro, di noi amanti della letteratura, e più ancora della vita e dell’uomo. «Dio ci segue passo passo. Tu magari non te ne accorgi. Ci sono delle volte in cui bisogna dirgli che se ne vada, come se fosse un mendicante, perché si allontani un momento, ma poi ritorna di nuovo» (J. Green, p. 217).
In quest’ultimo volume, Castelli procede per temi, più che per autori; per immagini di Dio, vere o falsate, appaganti o meno il cuore che cerca. Da Dante a Julien Green, scrittori di fronte al mistero, recita il sottotitolo. Ma due terzi del libro trattano di autori contemporanei, a conferma della vocazione di novecentista di Castelli. Uomini della nostra epoca, cui non basta il dio dei filosofi, astratto e impassibile. «Noi adoriamo un Dio vivo, un Dio che funziona, un Dio che respira: che respira se stesso» (P. Claudel, p. 188). La comprensione poetica sa essere molto profonda…
«Ah, mio dio. Mio Dio/ Perché non esisti?», grida Giorgio Caproni (p. 109). Un’aspirazione profonda, che di fronte all’apparente silenzio può divenire ribellione (che è pur sempre una forma di ricerca). E la scoperta stupefacente è che – come il padre della parabola – è Lui sempre a prendere l’iniziativa: «D’ora innanzi, nei destini di ciascun uomo, vi sarà sempre questo Dio in agguato» (F. Mauriac, p. 176). Un padre che abbraccia il figlio smarrito, che «raccoglie i feriti».
Il procedere per nuclei tematici, che adotta Castelli in questo volume, è suggestivo, permette connessioni non banali e a volte inedite nella storia letteraria. Specie i capitoli dedicati a un solo autore permettono di esplorarne l’animo (bellissimi, a mio avviso Tasso, Baudelaire, Claudel, Green…). Ma lo stesso metodo nasconde un limite: l’analisi troppo breve di alcuni autori (per lo più minori, è vero) risulta poco illuminante per chi non li conosca già bene. Caso in cui il volume può essere anche usato come testo di consultazione, quando la nostra lettura ci conduca a quegli autori. Il libro, comunque, ha una forte coerenza strutturale, che ne rende la lettura continuativa godibile come un’indagine poliziesca. In fondo lo è.
Marco Dalla Torre