il tema
BERLINO - Il modello multiculturale in Germania è fallito. La lapidaria affermazione, che sicuramente farà discutere, è della cancelliera tedesca, Angela Merkel.
Durante il congresso dei giovani di Cdu e Csu - i due partiti al governo con i liberali di Fdp - a Potsdam, Merkel ha detto che il modello multiculturale è «totalmente fallito». «La Germania non ha manodopera qualificata e non può fare a meno degli immigrati, ma questi si devono integrare e devono adottare la cultura e i valori tedeschi» ha aggiunto. E pur ribadendo che la Germania rimane un Paese aperto ha ribadito: «Non abbiamo bisogno di un'immigrazione che pesi sul nostro sistema sociale». [FONTE: La Repubblica, 16 ottobre 2010]
LUGANO - Svizzera/Italia - Bassetti: Ticino e Lombardia? “Una stessa nazione tra due Stati diversi” - «Man mano che i rapporti tra il canton Ticino e la Lombardia si trasformeranno, anche i rapporti tra il Ticino e Berna muteranno, perché vivere in una Europa federale significa avere suggestioni alternative. Bisogna avere il coraggio di riconoscere che le appartenenze si trasformano ed in un mondo che crea altre unità anche, l'unità della Svizzera potrebbe trasformarsi». [FONTE: www.tio.ch]
il contributo
Regole, modello multiculturale e frontiere
Ci può essere dialogo tra le religioni e tra le culture? Quante frontiere simboliche esistono? E come si può rilanciare il discorso del rispetto delle regole, in un mondo sempre più caotico, miscela di più religioni, etnie vicine grazie alle nuove tecnologie e a vie di comunicazione efficientissime? Cinquant’anni fa le distanze culturali tra gli svizzeri e gli stranieri erano meno marcate. Eppure, nella percezione degli autoctoni, gli immigrati italiani che lavoravano in Svizzera potevano essere considerati diversi, incompatibili. Si pensi a Schwarzenbach: l’intolleranza era profonda. Oggi tali “distanze” sono aumentate notevolmente, in modo non proporzionale al tempo trascorso. Siamo infatti chiamati ad accogliere gruppi etnici, persone con credo religioso, abitudini, riferimenti culturali a volte assai lontani dai nostri. Chi si sognerebbe, oggi, di affermare che gli italiani vanno espulsi dalla Svizzera perché generalmente incompatibili nel loro agire con le regole “svizzere”? In verità il razzismo, manifestazione emozionale della paura, nasce dalla presa di contatto tra popoli estranei e “lontani culturalmente”, in breve tempo. Digerire tali realtà non è semplice e la nascita di un dialogo è molto complessa.
Ma deve essere possibile. Ne va del futuro dell’umanità.
Non dimentichiamoci, poi, che il razzismo e le teorie di pulizia etnica, possono svilupparsi in più direzioni. Ci sono nazionalismi ovunque: in Serbia, in Svizzera, in Italia, in Svezia, in Turchia. Tali chiusure deviano l’attenzione dei popoli sull’irrazionale. Negli stadi, i comportamenti estremi s’infiltrano e viene a galla l’uomo primitivo. Sempre più persone sono incapaci di gestire le proprie tensioni emotive individuali, fatte di frustrazioni, di mancata realizzazione di sé. I bisogni, mediamente, non sono più quelli di procurarsi un tozzo di pane, ma di ottenere prestigio. Quando il successo non giunge, emerge la rabbia rafforzata dal collettivo, e si cerca un nemico contro il quale scagliare le proprie tensioni, un po’ come il Goldstein di 1984, rappresentato da un Orwell analitico e nel contempo visionario.
La scuola, quella che accoglie tutti, specchio di un universo umano in cui integrazione e rispetto delle regole concorrono nel compito educativo, è uno dei terreni più fertili dove operare.
Nel libro Sulle regole di Gherardo Colombo,* uscito da poco per i tipi di Feltrinelli, l’ex magistrato italiano (ha condotto inchieste famose, come la scoperta della Loggia P2, Mani pulite, Lodo Mondadori…) sviluppa il tema teorizzando e esemplificando due tipi di organizzazione sociale: quella verticale, autoritaria e quella orizzontale volta alla condivisione. Colombo ritiene che abbiamo una responsabilità individuale, nel rispettare le regole. Tutto deve partire dall’individuo, nei suoi gesti quotidiani. L’autore richiama infatti l’attenzione sulla responsabilità dei singoli cittadini sul malfunzionamento della giustizia.
In antitesi, mette in evidenza l’osservazione dei genitori, che l’ex magistrato incontra regolarmente nelle sue conferenze: «come si può insegnare il rispetto delle regole in un mondo in cui i mezzi di comunicazione di massa, spesso la famiglia, qualche volta i colleghi, diffondono esattamente la cultura opposta? Come posso educare mio figlio a seguire le regole, quando, se si guarda intorno, vede che le raccomandazioni e la prepotenza prevalgono?». Colombo risponde ai genitori che queste affermazioni sono un semplice mezzo per giustificare il proprio disimpegno. […] Questo chiamarsi fuori, questo escludere qualsiasi responsabilità individuale, questo delegare ad altri la soluzione dei problemi può essere messo in discussione spiegando perché è necessario il comportamento contrario. La via più sintetica per farlo passa attraverso quattro parole: chiarezza, coerenza, impegno e partecipazione. (147)
Più avanti Colombo parla proprio dell’importanza della scuola: la responsabilità dell’insegnante non coinvolge soltanto la comunicazione di informazioni e la verifica che queste siano state apprese. Coinvolge in primo luogo l’educazione al rispetto degli altri, degli studenti soprattutto, e consiste nell’accompagnare questi ultimi a riconoscere simili, tutti coloro con i quali hanno relazioni. […] La responsabilità dell’insegnante nei confronti di tutti gli alunni, l’esclusione non solo di qualsiasi discriminazione ma anche di qualsiasi favoritismo (magari dipendente da fattori come il censo dei genitori); comprende la lealtà con tutti. (151)
Condivido l’importanza della responsabilità individuale, così come il principio essenziale della condivisione “orizzontale” delle regole, frutto di dialogo senz’altro complesso, attuato anche all’interno delle istituzioni. Si tratta pure di un dialogo tra individuale e collettivo oggigiorno essenziali. Aggiungo l’importanza della laicità, nel lavorare con questi intenti: nello Stato, nella formazione e nell’educazione!
Scomodiamo di nuovo Gherardo Colombo per rendere attenti i lettori: «La constatazione del privilegio è allo stesso tempo anche un potente mezzo per mistificare la realtà e fingere di essere davvero diversi dagli altri: la distinzione che deriva dal potere, dal predominio, dall’arbitrio, può illudere di essere simili a dio: onnipotenti ed eterni». (133)
Daniele Dell’Agnola
* Il testo di Gherardo Colombo è stato spunto di riflessione per un'attività svolta in classe.