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Alessandra Borsetti Venier. Carlo Michelstaedter, il filosofo dell’anti-retorica
Carlo Michelstaedter,
Carlo Michelstaedter, 'autoritratto' 
15 Ottobre 2010
 

A Gorizia si inaugura la mostra Carlo Michelstaedter. Far di se stesso fiamma” che ripropone, in una straordinaria galleria di immagini, l'itinerario filosofico e di vita di un autore diventato ormai icona inconfondibile.

Il 17 ottobre 1910 un filosofo di ventitré anni muore suicida a Gorizia. Dopo pochi mesi i suoi compagni di studio pubblicano a loro spese le sue opere. Nel corso dei decenni successivi il suo nome diventa sempre più noto. Passa il secolo, passa il millennio e i testi di Carlo Michelstaedter vengono tradotti nelle principali lingue europee e pubblicati in vari continenti.

Perché le sue opere e la sua vicenda personale sono diventati materia di studi e di tesi di laurea? Perché la sua tesi di laurea, diventata poi il libro La persuasione e la rettorica, ormai è considerato uno dei contributi più originali alla filosofia del Novecento?

Credo che l’esame spietato della condizione umana di Carlo Michelstaedter riassuma in sé tutti i problemi, tutte le potenzialità di talento, creatività, immaginazione, onestà, capacità di lavoro, voglia di vivere dei giovani di questi ultimi cento anni.

 

Ma qual è stato il contesto, l’humus peculiare in cui si è formata la figura di Carlo Michelstaedter? Nel primo decennio del Novecento erano sorti in Europa movimenti d'avanguardia assai significativi, il cui intento di fondo era quello di contrapporsi al passato, di superarlo con nuove e rivoluzionarie visioni del mondo e della vita. Essi costruiscono il loro pensiero scoprendo e trasmettendo quella grandissima cultura europea che diagnostica e porta a effetto la crisi del sapere e della sua organizzazione. Ibsen, forse il più grande poeta di quest'intuizione nichilista del conflitto fra la vita e la rappresentazione, appare come tragico demistificatore della “megalomania della vita” – com'egli diceva – che non permette la realizzazione dell'individuo e lo rende colpevole di quest'impossibilità.

È anche meditando su Ibsen che Michelstaedter perviene alla sua intuizione radicale sul nichilismo della civiltà e sul richiamo alla morte. La sua è una sincera richiesta di rinnovamento in nome dell'uomo, della sua autenticità, contro un mondo che aliena e annulla. L’accusa che formula alla nostra civiltà è che da duemila anni si basi sulla retorica, sull’occultamento della realtà per mezzo delle parole. Basti pensare alla scritta che appare sopra il cancello del campo di sterminio di Auschwitz: «Il lavoro rende liberi».

Così scrive durante il suo soggiorno di studi a Firenze: «L'Arno violento dalle onde gialle, come ci simboleggia bene la vita, la vita eternamente fangosa. Invano le onde s'alzano, si ribellano, lottano con disperata energia rabbiosamente, la corrente le trascina inesorabile».

 

Ma che cosa sappiamo di questo giovane uomo, della sua vita, di ciò che l’ha portato al suicidio? La mostra di Gorizia, curata da Sergio Campailla, grazie anche ai molti documenti che la famiglia ha conservato, ce ne fornisce importanti testimonianze.

Suddivisa in quattro percorsi fondamentali, la mostra è composta da oltre 250 pezzi che raccontano il mistero di una vocazione esuberante e tragica attraverso una rassegna straordinaria di dipinti, schizzi, fotografie, documenti, manoscritti, edizioni, cimeli, in parte inediti.

Il percorso comincia da Gorizia, la “Nizza austriaca”, una città-giardino a misura d'uomo, circondata da dolci alture e sovrastata dal castello, sede di una comunità ebraica ristretta ma fiorente.

La seconda parte del percorso è dedicata a Firenze dove Michelstaedter frequenta l'Istituto di Studi Superiori venendo a contatto con professori famosi e colti condiscepoli. Si scoprono le prime relazioni sentimentali e amorose di Carlo, rimaste sino ad ora in ombra.

Nella terza parte il discorso ci riconduce a Gorizia dove Michlstaedter rientra definitivamente e, consegnata la tesi si laurea, il 17 ottobre 1910, si toglie la vita.

La rassegna chiude con l'esposizione dei libri provenienti dalla biblioteca di Michelstaedter e con le edizioni postume dei suoi scritti.

 

Carlo Michelstaedter. Far di se stesso fiamma
17 ottobre 2010 - 27 febbraio 2011

Sala Espositiva della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia

Via Carducci, 2 - Gorizia

Orario: da martedì a venerdì 10:00 – 13:00 e 16:00 – 19:00,

sabato e domenica orario continuato 10 – 19

www.fondazionecarigo.it

 

 

Una poesia senza titolo di Carlo Michelstaedter,

scritta a Pirano nell’agosto 1910.

 

Onda per onda batte sullo scoglio

- passan le vele bianche all'orizzonte;

monta rimonta, or dolce or tempestosa

l'agiatata marea senza riposo.

Ma onda e sole e vento e vele e scogli,

questa è la terra, quello l'orizzonte

del mar lontano, il mar senza confini.

Non è il libero mare senza sponde,

il mare dove l'onda non arriva,

il mare cha da sé genera il vento,

manda la luce e in seno la riprende,

il mar che di sua vita mille vite

suscita e cresce in una sola vita.

Ahi, non c'è mare cui presso o lontano

varia sponda non gravi, e vario vento

non tolga dalla solitaria pace,

mare non è che non sia un dei mari.

Anche il mare è un deserto senza vita,

arido triste fermo affaticato.

Ed il giro dei giorni e delle lune,

il variar dei venti e delle coste,

il vario giogo sì lo lega e preme

- il mar che non è mare s'anche è mare.

Ritrova il vento l'onda affaticata,

e la mia chiglia solca il vecchio solco.

E se fra il vento e il mare la mia mano

regge il timone e dirizza la vela,

non è più la mia mano che la mano

di quel vento e quell'onda che non posa…

Ché senza posa come batte l'onda

ché senza posa come vola il nembo,

sì la travaglia l'anima solitaria

a varcar nuove onde, e senza fine

nuovi confini sotto nuove stelle

fingere all'occhio fisso all'orizzonte,

dove per tramontar pur sorga il sole.

Al mio sole, al mio mar per queste strade

della terra o del mar mi volgo invano,

vana è la pena e vana la speranza,

tutta è la vita arida e deserta,

finché in un punto si raccolga in porto,

di se stessa in un punto faccia fiamma.

 

Alessandra Borsetti Venier


 
 
 
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