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Il saluto di Plevano a Bruno Dell'Ava
Bruno Dell
Bruno Dell'Ava, 'L'alfabeto del Custode', a cura di Claudio Di Scalzo, C.M. della Valchiavenna, 2004 
16 Ottobre 2010
 

Chiavenna, 9 ottobre 2010 – Ho lasciato Milano per raggiungere Chiavenna. È morto Bruno Dell’Ava e oggi c’è stato il suo funerale.

Ho fatto in tempo a vederlo composto con giacca e cravatta, pulito e rasato nella bara e mi è parso irriconoscibile, abituati a vederlo seduto nei bar del paese con la barba lunga e arruffata, il maglione sgualcito, l’occhio lucido e bonario. Ho avuto un attimo di spensierata allegria nel guardarlo da morto, mi sembrava un monsignore, o un giudice, o un avvocato, o un commissario, o un medico. Era il suo ultimo sberleffo alla vita. Se n’è andato un poeta e con lui una parte di me e di Chiavenna.

L’ho conosciuto 40 anni fa e da allora la sua opera pittorica e poetica mi ha accompagnato lasciandomi sempre sorpreso e sgomento per l’ironia dissacratoria e spesso feroce di ogni ordine costituito, fotografando la tragicommedia umana con lucida follia.

Il Custode del Paradiso ci ha lasciato per raggiungere il Paradiso dei poeti.

 

P.S. Nel 2004 è stato pubblicato L’alfabeto del custode edito dalla Comunità Montana della Valchiavenna e questa è la mia testimonianza su Bruno Dell’Ava. La precedono 7 poesie dell’autore inserite nella raccolta stessa che parlano della morte.

 

 

Passando vicino al cimitero, di notte, da solo,

ti prende un senso di sgomento

nonostante quello che ti han raccontato sul paradiso.

 

Quanti anni vivrò?

Ma adesso so di morire (prima non ci pensavo)

Ed è nato un nuovo sentimento.

 

Quando si è vecchi

si è più umili di fronte

alla vita e alla morte.

 

Epitaffio

Morì senza essere riuscito a esprimere il suo mondo.

 

Canzone

Ho visto una bara passare

e nel cielo c’erano le figure di Chagall,

suonava una musica lenta e dolcissima,

è bello morire così.

 

La vita, la morte, come uno schiocco di dita.

L’unico vero problema è la sofferenza.

 

I dottori e gli infermieri lavorano a contatto con la morte e hanno paure verticali violentissime.

 

 

 

Milano, 20 agosto 2002

Una testimonianza da amico su Bruno Dell’Ava, chiestami con grande sensibilità da Marco Sartori, non è un’impresa semplice. È necessario un linguaggio scarno, essenziale, come ci ha insegnato tutta la sua opera. L’ho conosciuto 30 anni fa mentre dipingevo felice al cavalletto il campanile di San Lorenzo a Chiavenna. Mi si avvicinò e brutalmente mi disse che il campanile era corto, largo e storto. Siamo diventati amici, ho visto le sue opere nella casa su per Pianazzola e ho capito subito la forza personalissima del segno e del colore, del suo spazio altro. Era stanco del lavoro di verniciatore di sci e gli consigliai di venire a Milano a studiare. Lo ospitai nel mio studio sui navigli e dopo pochi anni e pochissime frequenze ottenne la maturità artistica. L’esame di stato fu un manuale da film tragicomico, da commedia dell’arte con Totò e Buster Keaton come professori. Si sedette davanti alla Commissione, la Commissione lo guardò, lui guardò sbilenco la commissione, tirò fuori da un sacco di tela tre piccoli quadri ad olio, si guardarono tutti in faccia e lui ebbe la maturità. Col diploma cambiò lavoro e divenne il Guardiano del Paradiso, il Museo botanico archeologico di Chiavenna. In un gabbiotto di un metro per un metro ha scritto e dipinto le cose più potenti e dirompenti di questo fine millennio. Gli pubblicai i suoi fulminanti aforismi nei miei primi quattro cataloghi. Davanti alle sue opere io provai disagio e un senso di forza devastante e rigeneratrice di un nuovo ordine. I suoi segni sono lame nella carne viva e martoriata dell’uomo che vaga tra i non sensi e gli enigmi della vita. Nell’ignavia, stupidità e banale mostruosità di questi nostri tempi tecnologici, burocratici, pubblicitari, si ode il tuo urlo, unico e inconfondibile, forza primordiale della natura. La tua opera, caro Bruno, ti sopravviverà, si eleverà imperiosa nel tempo e nello spazio e Chiavenna sarà orgogliosa di te.

 

Roberto Plevano


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