Si è aperto un confronto sulla possibile privatizzazione del gestore dell'informazione e dell'intrattenimento di Stato. L'autorevole posizione del presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha fatto da ponte ad un'opzione che da anni una sparuta minoranza, tra cui annoveriamo anche la nostra associazione, ha cercato di valorizzare.
La privatizzazione sarebbe anche un primo timido passo per incrinare l'abuso di posizione dominante che la Rai ha nei confronti delle altre emittenti. Ma ci sono tre aspetti determinanti che devono essere affrontati e risolti:
1 - l'imposta che si paga per il possesso di un apparecchio tv e che, chiamata ridicolmente canone o abbonamento, serve a finanziare la Rai;
2 - la gestione e spartizione partitica di gestione e conduzione;
3 - l'assenza di capitali pubblici.
Nel primo caso, pur essendo il canone/imposta largamente utilizzato da diversi Paesi europei, ci sono comunque realtà che lo hanno abolito (Spagna, per esempio), risolvendo in questo modo gli eterni -e sempre in crescita- problemi di odio, disaffezione ed evasione che questa imposta genera nei contribuenti. In teoria la privatizzazione dovrebbe/potrebbe comportare un'eliminazione di questa imposta ma, siccome la tassazione creativa è una delle pratiche più diffuse dei nostri governanti, porre questa abrogazione come punto fermo per la vendita del servizio, crediamo sia più che necessario.
Anche nel secondo caso, in teoria una privatizzazione dovrebbe/potrebbe escludere il mercato di poltrone e di prebende partitiche con cui la Rai oggi vive. Una volta assegnata per gara la gestione all'azienda XY, il problema sarebbe solo di questa azienda e della qualità del servizio che dovrebbe rendere. Ma anche qui, siccome la fame degli attuali commensali della Rai è vorace e infinita, le norme sull'esclusione dei partiti dovrebbero essere esplicite e implacabili.
Il terzo caso, infine, è meno esplicito dei primi due. Uno dei capisaldi delle privatizzazioni italiane sono le società partecipate in cui Comuni, Province, Regioni, Stato, etc. detengono, in maggioranza o meno, il capitale. Fenomeno che fa sì che, per esempio, abbiamo aeroporti, società idriche, energetiche e di igiene ambientale che sono gestite dagli stessi che hanno bandito le gare (quando ci sono). Cioè il contrario di quello che dovrebbe essere: procrastinando di fatto metodi e modi della gestione pubblica e scoraggiando investimenti e iniziative private negli specifici settori. Per un eventuale servizio pubblico radiotelevisivo dato in appalto a privati, questi ultimi dovrebbero essere senza capitali pubblici, proprio per impedire che, in una nuova casacca, si ripropongano usi e costumi delle società partecipate e della Rai attuale (e quindi partiti, soldi dei contribuenti stornati dalle gestioni amministrative e statali, etc).
Un libro dei sogni?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc