Questa è l’ultima puntata di Cercando l’oro della poesia ed è una puntata speciale.
Con quest’ultima puntata, festeggiamo, infatti, tre eventi speciali: il mio compleanno (40 anni) lo stesso numero delle puntate pubblicate della rubrica che ha popolato le pagine di Tellusfolio per circa 4 anni, e perché il senso di Cercare l’oro della poesia si compie offrendo in quest’ultima uscita la poesia di una autrice quasi del tutto emergente: Azzurra De Paola.
Con quest’ultima uscita si compie infatti ciò che il “Cercare l’oro della poesia” ha perseguito, uscita dopo uscita, mese dopo mese, grazie alla disponibilità e accoglienza della Redazione di Tellusfolio: da un lato andare a scavare per trovare autori e poesia fuori dai canali della grossa distribuzione; dall’altro (ben più importante) portare la poesia ai lettori.
Quest’ultima puntata ci è particolarmente cara perché raccoglie queste due eredità.
L’autrice che proponiamo è stata assidua lettrice delle puntate da noi pubblicate ed ora ne diviene la protagonista. Ciò accade sia perché è una autrice che merita attenzione, sia perché studia e lavora sulla propria poesia incessantemente, scrivendone e leggendone.
La puntata, come tutte le precedenti della stagione 2010 vedrà l’autrice, oltre ad una selezione di propri testi, offrire in apertura un autore a lei particolarmente caro o vicino, spiegando in poche righe il perché di questa vicinanza.
Non potevamo immaginare un modo migliore per chiudere: offrendo un inizio: laddove fermiamo noi, inizia il percorso di Azzurra De Paola.
LA POESIA A ME VICINO
IL RE DELLE BRECCE
Fernando Pessoa da Il violinista pazzo, 1989
È vissuto, non so quando, forse mai –
ma di fatto è vissuto – un re sconosciuto
il cui Regno era lo strano Regno delle Brecce.
Egli era sovrano di ciò che era tra una cosa e l’altra,
dell’infraessere, di quel lato di noi
che giace tra la nostra veglia e il nostro sonno,
tra il nostro silenzio e le nostre parole, tra
noi e la coscienza di noi; e così
uno strano silenzioso regno ha tenuto quel misterioso
re nascosto alla nostra idea del tempo e dello spazio.
Egli governa, non coronato, quei supremi propositi che
non raggiungono mai l’azione – tra essi stessi e
l’azione incompiuta. Egli è il mistero che
si interpone tra gli occhi e la vista, né cieco né vedente.
Egli stesso non ha avuto mai fine né principio,
vuota mensola al di sopra della sua vana presenza.
Egli non è se non l’abisso del proprio essere,
una scatola scoperta che contiene la non-ricchezza del non-essere.
Tutti credono che sia Dio, tranne lui stesso.
“Pessoa è la dicotomia dell’esistere: ciò che, vivendo, non abbiamo tempo di pensare e ciò che, pensando, non abbiamo tempo di vivere.
LA POESIA DI AZZURRA DE PAOLA
LA_NUOVA_LINGUA
C'è da imparare
questa nuova lingua, il nostro
modo di trovarci, questo essere
rumorosi: scopriamo le nuove virgole
stiamo attenti ai punti
a dove metterli e guardiamo dentro
le parole e la punteggiatura, nei nostri
congiuntivi e negli imperfetti - l'appena passato
che può ancora tentarci. E quando
siamo finalmente qui seduti come al centro
di un nuovo linguaggio e le parole
diventano un senso astratto diverso
per gli altri che ci stanno a guardare e non lo sanno
non sanno quanto sia complesso
questo reticolo che ci stiamo costruendo
in mezzo. Parliamo una nuova lingua
e sulla mia scopri la febbre
del fraintendersi e a volte non capirsi: entra
fin dentro il palato e cerca le cose
che non dico e che questo verbo
che ci unisce non sa spiegarti e tirami
la gonna fino all'ombelico, fino ai complementi
e agli avverbi e poi scendi fino ai nomi propri
che puoi scrivermi dentro con la lettera maiuscola.
RICOMINCIARE
E magari ricomincerai da me e spero che non sia
perché sarebbe un conciliabolo
impossibile a spiegarsi mantenendo
la calma e la gente non farebbe altro
che domandarti dove mi hai raccolta così conciata
come un pupazzo da mercato e tu
nella tua giacca asciutta dovresti
ammettere che non mi hai trovata sotto un cavolo
e nemmeno che sia stata la cicogna a portarmi
nel fazzoletto ma che proprio
mi hai voluta con mani e testa gridando
a volte il mio nome quasi come uno sbaglio e mi hai presa
senza pudore dritta come una bandiera e sbattuta
al vento dei tuoi primi caffè
la mattina e lasciata dormire nel tuo letto
come il naufrago sulla zattera persa a largo. E la gente
mi guarderebbe e col gomito
si direbbe ma che ci fa con quella? e giù le malelingue
a dire che chissà come ti ho convinto
a darmi un briciolo di voce fino a quando poi hai cambiato
aria e sei uscito dal nugolo
in cui abitavi spolverando l'odore dei vecchi mobili
passati di cera, hai aperto le finestre e strappato via
le tende - ché il mondo fuori è bello da vedere. E ci siamo
finalmente seduti quando le sedie
erano diventate ormai uno scheletro e abbiamo respirato
insieme e nemmeno mi ricordo
se poi abbiamo parlato ma alle persone come lo dici
se tra noi non è sbucata una parola? E non voglio
che ti tiri addosso questo peso - il chiacchiericcio
insistente e il dolore di chi è sparito nella carta
da parati che non avevi scelto ma sopportavi
per l'odore di biscotti e la quieta strada del ritorno.
SEGNATA
E sei ancora così segnata
come una ferita inzuppata
alla carne. E sei ancora
arresa a questo brulichio
inverso - a quelle mani che ti hanno
così a lungo pesata. Quanto
ho sperato in gocce e pastiglie
di trovarti di nuovo sana
e per ogni estensione mi riempivo
le mani di vergogne da strapparti
ma poi mi stai davanti
nuda e sei ancora un fosso e ancora
ti portano i fiori per fingerti morta.
TOGLIETEMI
La panchina s'appendeva ai suoi piedi
e lei rappresa s'appallottolava alla ghiaia -
toglietemi, diceva
toglietemi l'aria e il vento da bocca
naso e polmoni. toglietemi
dall'amore il pentimento, la cacciata
dal paradiso, toglietemi la colpa.
E lanciava sassi alla ringhiera: scoppiava
alle mani il peso e il rigore e frugava
il muro come un corpo duro fatto
a cemento e calce per negarle
la pienezza tonda del perdono.
toglietemi, gridava. Toglietemi di dosso
la pelle o la buccia – il tempo
s’affrettava a dividerle i respiri e le contava
i minuti come pieghe
nella carne sbattuta dal sole.
Toglietemi dalle labbra il suono
delle risa dei sospiri del vuoto dentro, toglietemi
le mani in faccia per dimenticare
la meta a farmi i pezzi da lasciare
in ogni terra, in ogni sbocco.
L'altalena sale e scende, ruba
l'aria al cielo. L'ostinazione del silenzio
affila lo scandalo dentro: toglietemi
la guerra - piangeva un preghiera
toglietemi la tenacia che cresce
dolore e conoscenza. Datemi un viaggio
vuoto, fatemi la pace. Fatemi la quiete.
Infilava i piedi nelle orme dei
passi calcati come un'ombra, si faceva
l'eco dentro per darsi
la misura della tristezza al fondo.
L_ODIO
Poi c'è l'odio.
Queste lacrime sprecate
per depurare la ferita e la rabbia
usata per rimarginare
il sangue hanno lasciato
una pelle rattoppata che s'è annerita.
Questo è l'odio. L'avvilimento
della materia quando la carne
al ricordo torna a sanguinare - e non è
il corpo putrefatto a fare assedio
del dolore ma la coercizione
che hai imposto impedendomi il ritorno
di pensiero al mistero del creare.
DOPO_DI_TE
Questo amo: la doccia calda
quando sei appena andato via e mi lasci
le tue spalle dritte e dure, quando inseguo
l'acqua che si infila in ogni spazio
tra le braccia e l'ombelico - dove
sei passato tu.
PERDER_TI
Ma io non ti amo
e non ti aspetto - è questa la mia
angosciata punizione. Non c'è
la consolazione della casa nei tuoi
lunghi abbracci di perdono perché
non sei altro che una colpa
sfondata in faccia a cento all'ora quando
questa macchina frena
e il corpo continua nel vuoto la sua
corsa disperata.
Io già lo so - lo schianto.
sento
il rumore preceduto dalle grida
e mi vedo spezzata, persa
ad ogni angolo in un'eterna
ripetizione sempre uguale: mendico
un gesto indulgente. E tu
che puntualmente manchi, che sempre sei
una voce alta su tutto il resto, un infuriare
di tuoni sui miei steli curvi.
Io resto seduta
a questa sedia e non ti aspetto, sono
ormai un sasso
conto solo il tempo che ci vuole
per perderti ancora.
LA_PRIMA_MORTE_non si scorda mai
C'è stato un attimo in cui sono
morta tutta intera e poi mai più
per non darti la soddisfazione del ripetersi.
BINOMIO
Adesso che mi risali dai piedi
con le mani decise è quasi un dolore
l'urto del corpo quando entrarmi
non ti spaventa e forse nemmeno ti rinforza ma è solo
un lento accanirsi
e pensare che questo primo strato
di pelle non senta l'odore che hai
il peso delle mani addosso e la pazienza di ricavarmi
negli spazi tra le cose, quando la tua vita
non vede, quando
il mondo è lontano - e ore o giorni diventa
questo tempo insieme, un camminare
fuori strada mentre tutti
evitandoci ci danno la direzione contraria e
che assurdo binomio, io e te
e le nostre lunghe giornate, i tramonti
a vista dal tetto e la notte - la notte poi
che infuriare di voci, che trincea
di corpi.
Azzurra De Paola è nata a Roma nel 1983 e vive in Svizzera dal 2007.
Si è laureata in Filosofia Estetica e Teoria del Linguaggio all'università di Roma Tre.
Dal 2004 al 2007 ha ideato e curato una rubrica di cinema horror sulla rivista Cinem'Art registrata presso il Tribunale di Roma e diventando caporedattrice della stessa; dal 2005 al 2008 ha scritto sulla testata online Terranauta.it come inviata per la sezione cinema e collaborando per la realizzazione di una rubrica socio-ecologica sulla rivista trimestrale Natura e Benessere (registrate presso il Tribunale di Roma).
Ha curato la sezione cinema in collaborazione con Cooming Soon presso la testata online nuovocinema.com.
Ha studiato tre mesi nel 2006 con il docente Verdicchio della facoltà di Human Studies presso l'università della California di San Diego per la preparazione di una tesi sul concetto di linguaggio nel cinema muto.
Una breve selezione di poesie è stata pubblicata sulla rivista Le Voci della Luna.